WolframAlpha – Computational Knowledge Engine anche per la didattica

Che il sito web di WolframAlpha fosse una meraviglia dalle enormi potenzialità ce ne eravamo già accorti da tempo: sul web la potenza di un “motore” come quello di “Mathematica”! Praticamente un sogno: diventava immediatamente possibile accedere alla soluzione di equazioni, rappresentazione di fenomeni fisici, possibilità di calcolo sino a quel momento inconcepibili per il web. Si inserisce l’espressione matematica in un apposito campo e immediatamente se ne ottiene la soluzione numerica ( se esiste), la rappresentazione grafica e molto altro.  Matematica interattiva sul web!

Wolfram|Alpha computational knowledge engineMa la visione dei creatori del sistema si spinge molto oltre, sino ad abbracciare il concetto di motore di ricerca di tutta la conoscenza “computabile”: tutto spiegato molto bene alla pagina “Vision & History”, ma difficile da comprendere in un sol colpo. Basti pensare ad esempio che se si inserisce nel campo di ricerca la parola “Roma”, si ottiene una schermata densa di informazioni demografiche, geografiche, meteorologiche e storiche su quella città.  Se si inserisce la parola “proton” ( in italiano protone) se ne ottengono le caratteristiche fisiche: massa, spin,carica elettrica, vita media, etc. Se scrivo “c4” , apprendo che è una nota musicale (un do) a 261.626 hertz , la sua posizione sulla tastiera diun pianoforte virtuale e la posso anche sentire!

Non solo matematica, quindi, ma tutto ciò che è descrivibile formalmente e quantitativamente diventa potenzialmente oggetto di inserimento nel motore computazionale.

Sin qui bellissimo e prezioso, ma rimaneva piuttosto difficile pensarne una applicazione didattica, soprattutto a causa della necessità di imparare un minimo di linguaggio e di modalità di interazione: per gli studenti un ostacolo antipatico e difficile. Problema adesso in gran parte superato dalla disponibilità della tecnologia denominata “WolframAlpha Widgets“. In pratica diventa possibile generare delle vere e proprie miniapplicazioni, inseribili in qualsiasi pagina web, capaci di eseguire interattivamente una delle tante cose computabili dal sistema. Tutti possono creare i propri widgets: diventa così possibile mettere a disposizione degli studenti la possibilità di sperimentare e di eseguire particolari operazioni immediatamente.

Ho voluto subito provare a farne uno per i miei studenti e sono rimasto veramente ben impressionato dalla facilità con la quale si riesce facilmente a portare a termine il compito prefissato. Ecco il risultato:

Si tratta di un widget che disegna sullo stesso diagramma cartesiano due differenti sinusoidi delle quali potere inserire i valori di ampiezza, pulsazione e fase. Provare per credere! Consentendo ai miei alunni di quarta e di quinta la possibilità di “manipolare” le sinusoidi in modo visivo (quasi “tattile” mi verrebbe da dire), spero di poter raggiungere l’obiettivo di concretizzare la loro conoscenza dei fenomeni legati ai segnali elettrici e quindi aiutarli a raggiungere un minimo di competenza almeno relativamente alla loro descrizione.

Ho già inserito il widget nei rispettivi siti didattici: vedremo!

Un LO fatto tutto con Google

Dedicato oggi una buona fetta della giornata ad una piccola, personale sperimentazione: realizzare e pubblicare un piccolo learning object (senza pretese di rispetto di standard Scorm e simili) usando solamente gli strumenti gratuiti di Google.
Argomento prescelto: calcolo della resistenza equivalente di un bipolo, un classico delle classi terze degli istituti tecnici con indirizzo elettrotecnico, elettronico, informatico.
La competenza da sviluppare prevede che si sia in grado di semplificare progressivamente la rete elettrica in questione e di svolgere alcuni semplici calcoli.
Il learning object si divide in conseguenza in due parti fondamentali: la prima, la semplificazione progressiva del circuito, per la quale ben si addice il formato della slide presentation; la seconda, il calcolo, da affrontare “su carta” e da verificare successivamente su di un apposito foglio elettronico.
Entrambe le funzionalità sono messe a disposizione da “Documents” di Google e anche con buona dotazione di funzionalità . Ho trovato molto comodo l’utilizzo dello strumento di disegno per realizzare lo schema elettrico; si adatta anche all’utilizzo della tavoletta grafica. Scomoda invece, e abbastanza inspiegabile, l’impossibilità di trasferire il medesimo disegno da un ambiente all’altro e cioè dalla presentazione al foglio di calcolo: il copia e incolla non funziona e funziona male anche l’importazione come immagine (ovviamente dopo averla esportata in uno dei formati grafici consentiti) che viene collocata in una finestra sovrapposta alle celle e non ridimensionabile nè ritagliabile.
Un’altra voglia frustrata è stata quella relativa all’embedding del foglio di calcolo in una slide: mi sarebbe piaciuto farlo nell’ultima slide in modo da fornire lo strumento automatico per la verifica della correttezza dei calcoli matematici. Per ovviare all’inconveniente ho pensato di utilizzare google “sites”: ho generato un nuovo sito web vuoto (operazione che richiede pochissimi secondi) e, in questo, una pagina contenente in successione l’embedding della presentazione e quello del foglio di calcolo.
Il tutto funziona piuttosto egregiamente ma bisogna aver cura avere pubblicato come pagina web entrambi i documenti inclusi nella pagina. In caso contrario sul sito verrebbe mostrato solamente il messaggio di invito, da parte di Google, alla creazione di un nuovo account.
Un’altra limitazione, forse più grave, riguarda l’utilizzo del foglio elettronico che effettua un semplice calcolo sulla base dei valori di resistenza inseriti dall’utente. Allo stato attuale della mia sperimentazione non sono sicuro che questo possa avvenire se non lasciando al pubblico la possibilità di modificare l’intero foglio, alterandone quindi anche la funzionalità.
Conclusioni: ho impiegato parecchio tempo nel compiere le diverse prove trovando funzionali gli strumenti di editing e invece piuttosto confuse le modalità di setaggio dei permessi relativi alla condivisione e alla pubblicazione. Direi che si tratta di una strada non difficilmente percorribile dal docente mediamente tecnologizzato a patto che abbia un account google ed un minimo dimestichezza con gli strumenti a disposizione.

Chi volesse dare un occhiata al learning object prodotto puó farlo a questo indirizzo: https://sites.google.com/site/columbaproflearning/

xWeb

Liberamente tradotto da xWeb di George Siemens

Dare un nome alle cose è importante. E’ più facile dire “web 2.0” piuttosto che “web partecipativo, con contenuto distribuito, guidato dalla conversazione”. Sfortunatamente, i nomi modellano i concetti a volte in maniera imprecisa. E, una volta creato il nome, uomini di market, consulenti, opinionisti si lanciano “nella monetizzazione delle potenzialità sinergiche del web 2.0 [o di qualsiasi altra cosa]”. Proprio oggi mi sono imbattuto su Twitter in un post relativo al “crowdsourcing the longtail of training content”. ugh. Talvolta le parole, anzichè di aiuto, sono dannose.

Ancora, dare un nome alle cose può anche essere di aiuto nell’evidenziare un punto di svolta. O ppure un buon nome può focalizzare l’attenzione ai cambiamenti dando loro una forma definita che può essere adoperata per la previsione di trend significativi. Web 2.0 fu uno di quei punti di svolta. Un altro punto di svolta è costituito dall’articolo elearning 2.0 di Stephen Downes.

Siamo adesso in un periodo nel quale i progressi tecnologici stanno generando qualcosa di più definitivo di una collezione casuale di innovazioni quali FourSquare, il semantic web e la “augmented reality.

La settimana scorsa Steve Wheeler, con la sua presentazione sul web 3.0,  ha lanciato un dibattito. Downes ha subito replicato suggerendo che Web X ( nel senso di eXtended) sarebbe stato un buon titolo. Un buon nome, peccato somigli troppo a web ex – il fornitore di conferenze on line. Abbiamo bisogno di un altro termine. Io sto pensando a “xWeb” e non credo di essere il solo: si veda l’articolo di Rita Kopp proprio sull’argomento dello “extended Web”. Analogamente a quanto successo per lo sviliuppo dei termini PLE, connettivismo, elearning 2.0 e anche web 2.0, “xWeb” non rappresenta un qualcosa di totalmente nuovo. Piuttosto da forma ad un argomento che molte persone si stanno sforzando di definire.

Cosa è xWeb?

xWeb è l’utilizzazione di dati intelligenti e strutturati tratti dalle nostre interazioni e identità fisiche e virtuali in  modo da estendere la nostra capacità di essere conosciuti da altre persone e da altri sistemi.

Come definizione è abbastanza imprecisa, ma si tratta solo di un punto di partenza. Dal momento che xWeb nasce dal web e dal web 2.0, gli elementi coinvolti sono assai numerosi. Ciò che è unico nel xWeb è il modo nel quale è capace di trasformare come lavoriamo, come impariamo, come interagiamo con gli altri e con l’informazione. Ad un certo livello si tratta della maturazione del web come già lo conosciamo – una estensione naturale degli attuali trend di sviluppo della tecnologia e di internet. Ma, ad un differente livello, coinvolge una negoziazione tra due questioni chiave sulle quali continuo sempre a riflettere:

  1. Cosa la tecnologia fa meglio delle persone?
  2. Cosa le persone fanno meglio della tecnologia?

Con xWeb noi stiamo ripensando cosa spetta a noi fare in quanto persone e stiamo cominciando a fare affidamento a quanto la tecnologia fa meglio di quanto potremmo fare noi stessi.

Negli ultimi anni ho cercato di catturare la natura del cambiamento tecnologico. In parte ne ho parlato sui blog, in parte ne ho trattato in presentazioni e pubblicazioni, altro si può trovare su delicious.

Alcuni temi ricorrenti:
augmentation
aggregation
semantic web
location-based services (geoweb)
data overlay
smart information
visualization
social media
open data and data in general
Internet of things
cloud computing
mobile technologies
Analytics and monitoring

A questa lista potremmo ancora aggiungere “filtering”, gli strumenti del tipo “like this”, gli strumenti di annotazione (diigo), il wearable computing e così via.

Questi i temi chiave al centro del concetto di xWeb

  1. Il mondo fisico e quello virtuale  si stanno in qualche modo compenetrando, come evidenziato dai browser in “augmented reality” (Layar) e da servizi quali Yelp e Foursquare.
  2. I dati cominciano a giacere sugli oggetti fisici ( graffiti digitali e sovrapposizioni contestuali/storiche così come il web 3D)
  3. I dati cominciano a diventare più intelligenti – piuttosto che semplicemente puntare ad altre risorse ( ad esempio gli URL), i dati cominciano ora a quantificare la natura di quella connessione.
  4. Gli oggetti fisici stanno proiettando la loro presenza nel digitale (l’internet delle cose)
  5. Sempre più spesso i dati vengono registrati nella “cloud” che permette un accesso migliore ad un più ampio range di dispositivi.
  6. I dati sono sempre più “aperti” in modo da permettere nuove combinazioni da parte degli utenti finali… Google map è stato uno dei primo esempi del potere della logica “open”, in questo seguito da molti esempi ( incluso open street maps).
  7. L’abbondanza di dati aperti, di nuove sorgenti di dati (social media, sensori) e di numerosi usi dei dati (overlay, digital graffiti, social networks) rende possibile l’effettuazione di analisi avanzate circa gli utenti finali o il corrente “state of mind” della società (ad esempio i trend di Twitter). Le connessioni significano qualcosa. Man mano le connessioni tra persone, tra persone e dati e tra dati e dati divengono maggiormente abbondanti ed esplicite, possiamo guadagnare una maggiore conoscenza di cosa le persone stiano pensando e di come si preparano ad agire.
  8. Dati più intelligenti insieme a migliore capacità di analisi preparano il terreno per una capacità di fornire contenuti, socializzazione e prodotti altamente personalizzati.
  9. Dati + analisi + personalizzazione richiede la formazione di calcoli predittivi: “poichè tu appartieni a questo gruppo demografico, ti piacciono questi film, sei amico di queste persone, allora ti piacerà questa marca di caffè”.  Non siamo noi a cercare i dati, sono i dati a trovarci. In un certo senso, i dati ci conoscono.

Ancora sui “barbari” e sul levare

La replica di Scalfari alla lettera di Baricco dal 2026 (vedi www.columba.it/2010/08/26/allora-non-era-vera-apocalisse/ ) ed alcuni altri interventi, tra i qualiLettera ad Alessandro Baricco, dal 2010″ di Treccenere, mi danno lo spunto per tornare sullo stimolante argomento. Ha ragione, Scalfari, quando afferma che i barbari non ci toglieranno la nostra profondità. Non possono, in effetti, se ci siamo formati in un certo modo, se la nostra formazione ed educazione è andata avanti per successive e ripetute “immersioni” nella profondità, se in questo modo abbiamo acquisito il nostro specifico patrimonio culturale, ebbene tutto ciò non ce lo toglierà proprio nessuno. Ha ragione, Treccenere, è molto intrigante, anche, quando propone la metafora del canyon, una superficialità profonda, potremmo dire, cercando l’ossimoro e cercando di mettere in luce il limite della tesi baricchiana.

Da canto mio vorrei spendere qualche parola a favore. Ma soprattutto qualche parola per cercare di mostrare come non sia intenzione dei barbari (quelli di Baricco) quella di “togliere” qualcosa a qualcuno. Oppure di voler costruire una sorta di conoscenza, di cultura “di serie B”. Probabilmente siamo tutti condizionati dalla impressione che ci ha fatto, da bambini, studiare, per la prima volta, la caduta dell’Impero Romano, la sua devastazione ad opera delle orde gotiche e di altre popolazioni centro-europee. Anche se poi abbiamo studiato i diversi e complessi motivi che determinarono la fine dell’impero, ci è sempre rimasta nella memoria la connotazione dei barbari come “i cattivi” di un film nel quale “l’arrivano i nostri”, per una volta, non ha funzionato.

Scalfari dice a Baricco che

non è e non può essere un barbaro perché è intriso di memoria storica, conosce perfettamente quanto è accaduto, ha studiato i testi, ha ascoltato le musiche, ha addirittura messo in scena l’ Iliade e Achille, usa a meraviglia ed anzi insegna il nostro linguaggio

Tuttavia Baricco forse ne riesce ad intuirne il linguaggio (quello dei barbari). In questo non è solo, anzi c’è una scuola di pensiero canadese, il cosiddetto “connettivismo” al quale, forse non consapevolmente, fa riferimento. Mi riferisco qui alle teorie della conoscenza secondo il pensiero di Stephen Downes e George Siemens. Leggiamo ad esempio da What Connectivism Is:

At its heart, connectivism is the thesis that knowledge is distributed across a network of connections, and therefore that learning consists of the ability to construct and traverse those networks.

It shares with some other theories a core proposition, that knowledge is not acquired, as though it were a thing. Hence people see a relation between connectivism and constructivism or active learning (to name a couple).

Where connectivism differs from those theories, I would argue, is that connectivism denies that knowledge is propositional. That is to say, these other theories are ‘cognitivist’, in the sense that they depict knowledge and learning as being grounded in language and logic.

Connectivism is, by contrast, ‘connectionist’. Knowledge is, on this theory, literally the set of connections formed by actions and experience. It may consist in part of linguistic structures, but it is not essentially based in linguistic structures, and the properties and constraints of linguistic structures are not the properties and constraints of connectivism.

In connectivism, a phrase like ‘constructing meaning’ makes no sense. Connections form naturally, through a process of association, and are not ‘constructed’ through some sort of intentional action. And ‘meaning’ is a property of language and logic, connoting referential and representational properties of physical symbol systems. Such systems are epiphenomena of (some) networks, and not descriptive of or essential to these networks.

Hence, in connectivism, there is no real concept of transferring knowledge, making knowledge, or building knowledge. Rather, the activities we undertake when we conduct practices in order to learn are more like growing or developing ourselves and our society in certain (connected) ways.

[Italiano

In sostanza il connettivismo è la tesi secondo la quale la conoscenza è distribuita in una rete di connessioni e perciò l’apprendimento consiste nella abilità di costruire e di attraversare quelle reti.
Ha in comune con altre teorie una affermazione basilare e cioè che la conoscenza non può essere acquisita come si trattasse di un oggetto. In questo senso si può intravedere un punto di contatto tra il connettivismo e il costruttivismo o l’apprendimento attivo.
Dove il connettivismo si distacca da queste teorie è nella negazione che la conoscenza possa essere proposizionale (in senso filosofico, vedi http://en.wikipedia.org/wiki/Propositional ). In pratica, quelle altre teorie possono essere tutte definite “cognitiviste” nel senso che descrivono la conoscenza e l’apprendimento come basate sulla logica e sul linguaggio.
Per contrasto il connettivismo è “connessionista”. In questa teoria la conoscenza è, letteralmente, l’insieme di connessioni formate dalle azioni e dalle esperienze. Può parzialmente consistere di strutture linguistiche, ma senza esservi basata e le proprietà e i vincoli delle strutture linguistiche non coincidono con le proprietà e i vincoli del connettivismo.
Una frase del tipo “costruire il significato” nel connettivismo non ha senso. Le connessioni si formano naturalmente, attraverso un processo di associazione e non sono costruite da alcun tipo di azione intenzionale. E “significato” è  una proprietà del linguaggio e della logica che connota proprietà referenziali  e rappresentazionali dei sistemi simbolici fisici. Tali sistemi sono epifenomeni delle reti e non ne sono descrittivi nè ne sono essenziali.
Nel connettivismo quindi non c’è spazio per il concetto di trasferimento della conoscenza, produzione della conoscenza o costruzione della conoscenza. Piuttosto, le attività che intraprendiamo al fine di ottenerne un apprendimento somigliano di più al processo di crescita e di  sviluppo di noi stessi e della nostra stessa società.]
La traduzione è mia, mi scuso per eventuali imprecisioni…

Mi sembra quindi che il discorso sul senso, sul fatto cioè che il senso per i nuovi barbari sia “tutto in superficie”, ovvero tutto contenuto e sviluppato in modo reticolare,  possa essere tranquillamente giudicato nè minaccioso nè sminuitivo del concetto stesso di conoscenza e di cultura. Più probabilmente non di minaccia si tratta, ma di una profonda mutazione del pensiero.

Qualche link per chi volesse approfondire:

Allora non era vera apocalisse!

E così, portandosi avanti con il lavoro sino al 2026, Baricco ci suggerisce che l’attegiamento storicamente consolidato del cercare ( e del collocare) “il senso” nella profondità corrisponde più o meno all’atteggiamento canino del nascondere l’osso sotto terra! Non si esprime così, Baricco, l’accostamento è mio (mi piacciono le iperboli), ma il senso del discorso credo di non averlo tradito.
L’articolo in questione è il seguente: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/08/26/news/barbari_2026-6516602/ e sono sicuro che ne seguirà un interessante dibattito!

Manifesto degli insegnanti, qualche considerazione

Questo post nasce da uno scambio di battute su Facebook in merito al “Manifesto degli Insegnanti” che è stato recentissimamente pubblicato ad opera del network “La scuola che funziona“. L’idea che sta alla base del “Manifesto” è quella di creare, per gli insegnanti , quello che per i medici è il “giuramento di Ippocrate”. Lo scopo è certamente condivisibile, mi spiace solo non aver avuto il tempo materiale per potere, anche minimamente, contribuire. Tuttavia qualcosa, nel manifesto, non mi piace, non mi convince, lo avevo appunto accennato ad Andreas Formiconi che ieri ha esposto le ragioni dell’adesione in questo illuminante post. Se interpreto correttamente, l’affermazione fondamentale di Andreas è la seguente: la scuola ha sino ad ora svolto un compito che comporta, forse addirittura prevede, un processo di appiattimento delle caratteristiche personali ed individuali degli alunni in favore della creazione di categorie di lavoratori: il ragioniere, il medico, l’impiegato, l’ingegnere e via dicendo. Le godibilissime citazioni portate a sostegno di questa affermazione sono, da par suo, colte ed appropriate. Il “Manifesto degli insegnanti” potrebbe allora contribuire a mutare questa certo non esaltante situazione in quanto introduce il rispetto per la vita, il rispetto per la verità (non dogmaticamente intesa), il rispetto per l’errore. Concordo pienamente e condivido, pienamente convinto, della necessità che a scuola si coltivino tutte e tre queste forme di rispetto.

Tuttavia i motivi della mia perplessità a sottoscrivere il “Manifesto” permangono. Non me ne vorranno gli amici de “La scuola che funziona” che stimo e per i quali nutro un sentimento di gratitudine, ciò che adesso dirò è animato dalle migliori intenzioni.

Al punto numero 1 del manifesto leggo:  Amo insegnare. Amo apprendere. Per questo motivo sono un insegnante. Bellissimo, certamente, ma mi viene un dubbio: dobbiamo allora intendere che l’insegnamento non può essere una professione? Siamo ad una diversa formulazione della frase fare il docente è una missione che sentiamo da sempre? Certo piacerebbe a tutti poter lavorare facendo ciò che più si ama, ma quanti sono quelli che vi riescono?

Al punto 2 un’altra affermazione forte secondo la quale il docente che non fosse più capace di suscitare la meraviglia innata nell’alunno dovrebbe cedere il posto. Mi sembra un pò troppo categorica; e poi, cosa non trascurabile, di che vivrebbe? Teniamo famiglia . . . qualcuno direbbe. E poi, sinceramente, mi sembra una affermazione poggiata sulla buona volontà e poco realistica: la scansione delle attività scolastiche in giorni e ore prefissate è, già da sola, garanzia di noia assicurata! Per farlo capire ai miei alunni (me lo permetto perchè sono grandicelli, diciamo dai 16 ai 20 anni) dico loro che se dovessero, obbligatoriamente, fare l’amore con la fidanzata più desiderabile dalle 9 alle 10 del lunedì, dalle 12 alle 14 del mercoledì e alle 8 del sabato, così come succede per una qualsiasi materia di insegnamento, bè, sono sicuro che non ne potrebbero più già dopo poche settimane! Figuriamoci per nove mesi di fila! Insomma, voglio dire che la stessa organizzazione di base della scuola contraddice al principio del rispetto della persona. Nel manifesto sembra che il docente possa ergersi eroicamente a superare a piè pari anche questo ordine di difficoltà.

Non mi pare il caso, nè mi sembrerebbe corretto, fare adesso una disamina di tutti i punti. Mi limiterò a notare che ai punti 11, 12 e 13 si legge:  lotterò, resterò fedele, aiuterò ad illuminare . . . sinceramente, mi sembrano affermazioni piuttosto “calcate”. Mi sembra che ne emani la visione di un insegnante con uno smisurato ego e con una concezione di sè ispirata all’epico guerriero.

Per questo non riesco a trovare sufficiente empatia per firmare.

Moltiplicazione degli accessi e banalizzazione

Queste considerazioni prendono spunto dal post La rete tradita di Mario Rotta che, ancora una volta lucidamente e brillantemente, mette in evidenza la distanza abissale tra quelle che erano considerate le possibili evoluzioni della rete e la dura e cruda realtà delle realizzazioni cui quotidianamente assistiamo. Mario, sono con te!  Ciò che dici fa male: a fronte delle possibilità veramente “rivoluzionarie” dello stare in rete assistiamo anche qui al dilagare, guarda caso, di una preoccupante e mortificante mediocrità. Nè, d’altro canto, può essere di consolazione la constatazione della non esclusività del fenomeno: se guardiamo agli altri settori critici e strategici per il prossimo futuro del nostro paese, ad esempio a scuola e a politiche energetiche, rischiamo di farci prendere da un irrimediabile sconforto.

Non bello.

Peggio: temo che si tratti di qualche cosa, di una dinamica, del tutto connaturata con la natura dell’essere umano, una dinamica che agisce una trasformazione in senso banalizzante dell’oggetto di volta in volta di interesse. Un classico esempio è, per me, la dinamica che si instaura quando si vuole proteggere un ambiente naturale Leggi tutto “Moltiplicazione degli accessi e banalizzazione”

Edmodo – social network didattico o piattaforma e-learning?

Ho appena scoperto l’esistenza di Edmodo, che non so se definire piattaforma di e-learning o social network al livello del singolo docente. Da quanto appare dalla presentazione l’interfaccia mutua da facebook alcune delle caratteristiche relative al contatto, alla comunicazione, ai “gruppi”. In aggiunta vi si trovano gli strumenti con i quali il docente può assegnare “i compiti” agli studenti e verificarne anche attraverso iphone e similari l’impegno. Il tutto in ambiente protetto. Non mi convince molto, mi dà la sensazione di essere dedicata a quanti adottano la filosofia del “vorrei ma non posso”, di quanti temono il contatto e la contaminazione con il “network” più allargato. E poi la metodologia dell’assegnare i compiti e poi esercitare il controllo è quanto meno discutibile . . . Da provare però, magari si scopre che può essere molto opportunamente utilizzata dove i problemi di sicurezza sono molto stringenti, ad esempio con le fasce scolari di età inferiore.

#CritLit2010 week 2

Documents I did find the time to read, this week, are:Coaching critical thinking to think creatively” and 50 Ways to Foster a Culture of Innovation , both of them really interesting. The first one drive me to reflect about my teaching, about teaching metodology, generally speaking. At the same time I wondered myself why, in Italy, we don’t have Critical Thinking courses! Something could think: “watch at the premier and the government in your country” (Berlusconi, you know . . .;-) ), but really it was allways the same. So my thoughts concerned about the possibility of  insert the critical thinking ability inside the different subjects we teach. Well, sure I have to continue my thinking about it.

From the second one I made this map (if you see it to little may be better here):

You can see my attempt to show a more systemic approach based on the four main blocks: Actions on myself, action on organization, actions on people, management actions.

I hope it will be someway useful.

#CritLit2010 – Good models

I find really interesting reading Critical Thinking, by Alec Fisher. Perhaps I’ll get a sort of teacher’s professional crisis . . .;-)

At page 9 they say that  good teaching is about giving good models: I totally agree with it and, at the same time, I wonder if I’am able to do this way when I try to teach electronics to my students! Infact,  to give good models, I would need to practise electronics at the right level. May be I would need, for example once in a five years, stop teaching to go and work in a workshop or in an industry. Instead I’m living in the school for more then 15 years . . . so my electronics culture is actually a librarian culture, I can’t be able to practice “in the field”.

So, my thoughts are about this: how can I find good models for my students? If I’ll not be able to find them, I think I’ll be able to teach at an abstract and cognitive level only. Shall I be able to help my student to build their professional competences?