Fingiamo

…viviamo spesso nella commedia della conoscenza. Sorvoliamo sulle cose, fingiamo sperando di sapere, ma in realtà non sappiamo. É una farsa che si inscena con se stessi, è la tragedia dell’insufficienza.

Da “Atlantide” di Carlo e Renzo Piano

Questa cosa mi ha sempre fatto pensare: il senso della insufficienza é proprio dell’essere umano, gli è congenito ed è generatore di molte ricerche e di molte credenze, non ultime quella di un dio.

Lettera aperta ad Ezio Mauro

Caro Ezio, perdonami la confidenza ma quanto tu oggi scrivi (Dove porta quel pullman https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2019/03/21/news/dove_porta_quel_pullman-222193474/ ) mi è così vicino che vorrei veramente abbracciarti. Vorrei che tutti lo leggessero. Ma perché questo possa accadere bisognerebbe riscriverlo! No, non sto facendo una critica, assolutamente no. Piuttosto mi piacerebbe che potessero leggerlo e capirlo anche i miei alunni, che non sono né stupidi né bambini: sono studenti di un uno istituto tecnico industriale. Li vedo ogni giorno da 28 anni, so che non sarebbero in grado di farlo. Ma non sono lettori di Repubblica! Potresti obiettare… Vero, ma sono sicuro che anche tra questi lettori molti avranno avuto qualche difficoltà di interpretazione. Hai ragionissima quando affermi Serve uno sforzo cognitivo! Oggi a scuola ci sforziamo proprio in questa direzione: arricchire la vita dei nostri studenti con qualcosa che consenta loro di superare i limiti dell’istintivo e del comportamentista. La maggior parte di loro vuole, in buona fede, essere puramente addestrato a far qualcosa, come se la vita professionale potesse limitarsi a sapere quali sono i bottoni da pigiare (o da cliccare). Ci sforziamo di convincerli che capire è necessario e anche possibile. Per questo ti esorto a riscrivere il tuo magnifico articolo in un linguaggio che richieda una padronanza della lingua italiana a livello un pochino più elementare. Anche a costo di perdere qualche sfumatura e qualche raffinatezza. Sono sicuro che ne guadagneremmo tutti per una maggiore consapevolezza collettiva.

Letture di oggi

Riporto due piccoli brani, entrambi tratti da “Robinson” di oggi. Il primo estratto dall’incontro tra Renzo Piano e Alessandro Baricco:


Sì, ma ti manca sempre un pezzettino. È la condizione umana di chiunque provi a edificare, che sia un architetto, uno scrittore, un educatore, uno scienziato. Ti confronti, prima o poi, con il fatto che non sei il Padreterno. Le tue braccia non sono abbastanza lunghe per afferrare questa cosa che io chiamo bellezza ma che in realtà non è solo bellezza. È una sorta di araba fenice. Ti resta solo qualche piuma in mano, se ti va bene .

La seconda tratta da un libro di Dacia Maraini che raccoglie alcuni scritti di Fosco, suo padre, ancora inediti:

. . .
viene spontanea la domanda che Fosco fa a sé stesso: perché si rischia la morte per scalare una montagna? Perché ci si innamora di una vetta, di una terribile roccia che si staglia contro un cielo minaccioso? “Io posso rispondere solo a titolo personale, frugandomi dentro. Ci vedo due immense attrazioni. La prima è che la montagna mi fa da chiesa. Le vere chiese mi danno un’angosciosa sensazione di Dio in scatola. La montagna invece è Dio fresco. Dio libero. Dio diretto. La seconda attrazione è data dalla gente che s’incontra in montagna, dai compagni di cordata ai pastori, dalle grandi guide agli umili custodi dei rifugi .

Entrambe mi sembrano degne di qualche considerazione.

Ignoranza, frustrazione, salvinismo

L’idea che mi ha portato a questo titolo è presto sintetizzata così: il salvinismo, ovvero questo consenso apparentemente inspiegabile verso una persona di questo tipo, deriva dalla incapacità di gestire la frustrazione derivante dalla consapevolezza della nostra personale ignoranza. Spiego come mi sia venuta questa idea.

Stamattina, come sempre faccio quando ne ho la possibilità, leggo il giornale e mi imbatto nell’articolo di Maurizio Ferraris dal titolo “Il giorno che siamo diventati alienati e contenti” nel quale si cerca di superare l’inadeguatezza delle classiche entità economiche dell’analisi marxista con concetti più adeguati a ragionare del lavoro e dell’economia nell’epoca della trasformazione digitale (perdonate la brevità). Apprezzo l’articolo anche se capisco che riesco ad apprezzarlo solo parzialmente a causa delle mie ignoranze sia riguardo il pensiero marxista che le attuali dinamiche del lavoro e dell’economia.

Rimango con la curiosità di sapere qualcosa di più sull’autore, a cominciare dalla faccia che ha. Cerco quindi su YouTube qualche intervento (a latere: da quando fruisco di YouTube sul televisore ne apprezzo molto di più i contenuti…) trovando tanti interventi e ne avvio uno del Festival della Comunicazione. É recente e quindi il tema trattato ha molti punti in comune con quelli dell’articolo. Mi bastano i primi 18 minuti per capire che, per capire veramente, dovrei sapere un sacco di cose che non so. Vengo a sapere del significato della parola “taglia”, che la moneta ha un valore documentale, che questo tipo di processo risale addirittura al neolitico, insomma un sacco di cose che mi procurano più domande che risposte, che mi suscitano ancora più curiosità di quante nel soddisfino.

E qua spunta una certa frustrazione! Come fare a sapere tutte le cose che non so? So bene, per esperienza di tanti anni di esposizione al web, che non ci riuscirò, che andando avanti scoprirò ancora più cose da sapere e da capire. Faccio insomma esperienza della complessità. Faccio esperienza dei miei limiti.

E qua di fila subito due intuizioni: la prima è che non è vero che non esiste più la sinistra! Solo che non si identifica più con l’aderire al pensiero marxista prima e genericamente progressista dopo. Possiamo oggi piuttosto pensarla come costituita da quelle persone e quell’atteggiamento filosofico che accettano l’idea della complessità e che cercano di capirla e di descriverla.

La seconda è che se personalmente non riusciamo a trovare un senso allo sperdimento cognitivo, se la gestione della frustrazione ci fa venire l’ansia, se quest’ansia ci fa stare troppo male, allora siamo fortemente tentati dalla semplificazione eccessiva, dalla banalizzazione salviniana. Ricordiamoci che tra i motivi del successo del fascismo c’è l’esplicita dichiarazione di farla finita con le riflessioni e le teorizzazioni e piuttosto di preferire in modo acritico e incondizionato l’azione.

Dunque per uscire dall’impasse politica in cui versiamo non basta leggere più libri (ogni riferimento a Baricco è assolutamente voluto): bisogna andare di più dallo psicologo!

Le parola terribili che si dicono ai bambini

Leggo con molto piacere il post Le parole terribili che si dicono ai bambini perchè dà voce a certe riflessioni che forse a molti capita di fare ma senza dare loro un esito, una conseguenza. Appartengo infatti ad una generazione alla quale, da bambini, non era infrequente sentirsi dire “ti scanno” o altre cosette del genere che oggi avremmo pudore ad utilizzare anche nei confronti di un animale. Normale. Era normale! Ma non per questo, come evidenziato dall’articolo, meno traumatico per il bambino cui era diretto. Mi è sembrata una riflessione importante sulla quale soffermarsi.

Tecnologie digitali… (3) – Il modello SAMR

Mi sembra interessante, in questa carrellata di riflessioni su come le diverse tecnologie digitali possano essere utilmente utilizzate ai fini della implementazione delle funzioni di un ambiente di apprendimento, fare questa piccola digressione su come l’ambiente di apprendimento viene modificato dalla introduzione delle tecnologie. L’autore parla esplicitamente di “computer technology” probabilmente perché la ricerca ha inizio in epoche precenti la diffusione di tablet e cellulari ma la sua validità è certamente estensibile all’utilizzo di questi ultimi. La cosa più significativa da mettere in evidenza riguarda il passaggio dall’insegnamento centrato sul docente all’apprendimento centrato sullo studente. Non è cosa da poco: sul piano pedagogico si tratta di un passaggio epocale sulla cui necessità non è piu possibile nutrire dubbi. D’altro canto bisogna essere consapevoli della esperienza ormai comunemente riportata anche in letteratura che mettere nelle mani degli studenti un tablet equivale a perdere il controllo della classe. Nel mio piccolissimo non posso che confermare. Si tratta quindi di modificare profondamente l’approccio all’insegnamento e si tratta, cosa questa che non sento citare, di modificare anche le aule per adattarle ai nuovi usi, la prima modifica dovendo essere, a mio parere, la loro correzione acustica, accorgimento senza il quale diventa assai difficile far lavorare autonomamente i ragazzi.

 

Quella che segue è la traduzione di questa pagina:https://sites.google.com/a/msad60.org/technology-is-learning/samr-model sviluppata daDr. Ruben Puentedura  http://www.hippasus.com/

.samr-model

SAMR Model

Il modello SAMR (Sostituzione Aumentazione Modificazione Ridefinizione) offre un metodo di visualizzazione dell’impatto della tecnologia nell’insegnamento e nell’apprendimento. Mostra anche la progressione che in qualche caso viene seguita da coloro che adottano le tecnologie nell’insegnamento. Si potrebbe argomentare e confutare l’appartenenza di una data attività ad un livello o ad un altro, ma il concetto più importante da mettere qui in evidenza riguarda il coinvolgimento degli studenti. Si potrebbe misurare la progressione dell’inserimento osservando il cambiamento di soggetto che pone le domande. Man mano ci si sposta nel continuum, la tecnologia diventa gradatamente più importante nella classe e allo stesso tempo diventa più invisibilmente intessuta alla richiesta di buon insegnamento e buon apprendimento.

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 Sin qui la traduzione. Mi consento qualche considerazione personale.
Trovo centrata l’analisi e la sua visualizzazione grafica. Forse migliorabili sono gli esempi delle possibili attivitá, soprattutto a livello “ridefinizione”. L’autore infatti cita la possibilità di creazione di un documentario video ritenendo evidentemente che si tratti di un qualcosa precedentemente non immaginabile. É vero sino ad un certo punto. Già in passato infatti era possibile pensare alla realizzazione di un supporto audiovisivo, seppure tradizionalmente “analogico”: certamente era piú difficile e costoso ma non impossibile. Ma c’è dell’altro, il discorso non si ferma alle differenze tecnologiche. Sin da quando abbiamo iniziato a domandarci dell’utilizzo pedagogico dei nuovi media ci siamo resi conto dell’ampliamento del concetto di “testo”: in questo senso assegnare lo svolgimento di un  tema o la realizzazione di un video non differiscono se non nel registro linguistico e nelle inevitabili differenze nelle competenze relative alla “scrittura”. Personalmente ho la sensazione che i compiti precedentemente non immaginabili non possano che riguardare l’interazione negli ambienti precedentemente inesistenti, ovvero il web 2.0 (sembra ormai una definizione abusata ma il suo utilizzo nelle scuole é ad oggi vergognosamente sottostimato) e i social network. Sono queste, credo, insieme ad altre che in questo momento non riesco o non possiamo immaginare, le aree cui rivolgere lo sguardo per trovare attività realmente innovative.
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Aggiungo il 19/09/2016 questa visualizzazione che mi pare interessante:

Antidoto alla cecità

Rather than merely document reality, Matthew seeks to harness abstraction and beauty from it – to use his imagery, in short, “as an exercise in seeing, or an antidote to blindness.”

Piuttosto che documentare pedissequamente la realtà, Matthew cerca di estrarne astrazione e bellezza – usando la sua visione, sinteticamente, “come un esercizio dello sguardo, o un antidoto alla cecità”.

 

Concordo. 🙂

 

Uomini o sardine

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Leggo oggi gli interessanti e belli articoli su Pasolini. Quando è morto, nel 75, ero troppo giovane per avere una idea compiuta dell’uomo e dell’artista. Si, mi ero imbattuto in qualche suo film ma, sinceramente, non ne ero rimasto granché impressionato. Oggi, appena più consapevole di allora, comincio ad apprezzare e rimango assai colpito da alcune affermazioni che trovo riportata:

«La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa — scriveva, nel 1974 — Non c’è più dunque differenza apprezzabile… tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente, e quel che più impressiona, fisicamente, interscambiabili… I giovani neofascisti che con le loro bombe hanno insanguinato l’Italia, non sono più fascisti… Se per un caso impossibile essi ripristinassero a suon di bombe il fascismo, non accetterebbero mai di ritornare ad una Italia scomoda e rustica, l’Italia senza televisione e senza benessere, l’Italia senza motociclette e giubbotti di cuoio, l’Italia con le donne chiuse in casa e semivelate. Essi sono pervasi come tutti gli altri dagli effetti del nuovo potere che li rende simili tra loro e profondamente diversi rispetto ai loro predecessori».

Leggi tutto “Uomini o sardine”

Citazioni: Creazione, rock, mito, natura

Pensa che tutti possano essere creativi?
«Magari. Ma non è così. La creazione è un atto di guerra non un armistizio con la realtà».
Enzo Mari – Repubblica 6/9/15


Per me il rock è sempre stato l’affresco di un momento storico ma oggi ha perso molto del suo istinto politico». Incalza Bono: «La rabbia che segue il dolore e la perdita è il motore di tutto, anche del rock, quello di Lennon e dei Clash, quello che è stato neutralizzato dal pop e in molti casi dalla fama e dal denaro». «Viziato dai talent show», aggiunge il bassista Adam Clayton. Anche voi siete adulti, ricchissimi eppure ancora sufficientemente rock. Risponde The Edge: «Ne deduco che non siamo cresciuti».
Bono – Repubblica 6/9/15


Senza la natura il mito non esisterebbe. Come dimostra ora l’importante mostra al Palazzo Reale di Milano. Ma senza il mito non ci sarebbe la natura. L’uno vive in funzione dell’altra, legati da un’attrazione fatale, da un magnetismo dell’immaginario che è all’origine dell’arte e, in generale, del pensiero umano.
 Marino Niola – Repubblica 5/9/15


Photomediations Open Book – L’introduzione

Qualche tempo fa mi sono dedicato alla traduzione dell’introduzione a “Photomediations: an Open Book” per costrigermi a leggere con calma e a riflettere. Si tratta di concetti piuttosto sfuggenti.
Dal momento che siamo ormai alla ripresa delle attività autunnali mi sembra il caso di riportarne qui la traduzione .

Non è forse esagerato descrivere la fotografia come una delle pratiche costituenti la quintessenza della vita. Leggi tutto “Photomediations Open Book – L’introduzione”