Ignoranza, frustrazione, salvinismo

L’idea che mi ha portato a questo titolo è presto sintetizzata così: il salvinismo, ovvero questo consenso apparentemente inspiegabile verso una persona di questo tipo, deriva dalla incapacità di gestire la frustrazione derivante dalla consapevolezza della nostra personale ignoranza. Spiego come mi sia venuta questa idea.

Stamattina, come sempre faccio quando ne ho la possibilità, leggo il giornale e mi imbatto nell’articolo di Maurizio Ferraris dal titolo “Il giorno che siamo diventati alienati e contenti” nel quale si cerca di superare l’inadeguatezza delle classiche entità economiche dell’analisi marxista con concetti più adeguati a ragionare del lavoro e dell’economia nell’epoca della trasformazione digitale (perdonate la brevità). Apprezzo l’articolo anche se capisco che riesco ad apprezzarlo solo parzialmente a causa delle mie ignoranze sia riguardo il pensiero marxista che le attuali dinamiche del lavoro e dell’economia.

Rimango con la curiosità di sapere qualcosa di più sull’autore, a cominciare dalla faccia che ha. Cerco quindi su YouTube qualche intervento (a latere: da quando fruisco di YouTube sul televisore ne apprezzo molto di più i contenuti…) trovando tanti interventi e ne avvio uno del Festival della Comunicazione. É recente e quindi il tema trattato ha molti punti in comune con quelli dell’articolo. Mi bastano i primi 18 minuti per capire che, per capire veramente, dovrei sapere un sacco di cose che non so. Vengo a sapere del significato della parola “taglia”, che la moneta ha un valore documentale, che questo tipo di processo risale addirittura al neolitico, insomma un sacco di cose che mi procurano più domande che risposte, che mi suscitano ancora più curiosità di quante nel soddisfino.

E qua spunta una certa frustrazione! Come fare a sapere tutte le cose che non so? So bene, per esperienza di tanti anni di esposizione al web, che non ci riuscirò, che andando avanti scoprirò ancora più cose da sapere e da capire. Faccio insomma esperienza della complessità. Faccio esperienza dei miei limiti.

E qua di fila subito due intuizioni: la prima è che non è vero che non esiste più la sinistra! Solo che non si identifica più con l’aderire al pensiero marxista prima e genericamente progressista dopo. Possiamo oggi piuttosto pensarla come costituita da quelle persone e quell’atteggiamento filosofico che accettano l’idea della complessità e che cercano di capirla e di descriverla.

La seconda è che se personalmente non riusciamo a trovare un senso allo sperdimento cognitivo, se la gestione della frustrazione ci fa venire l’ansia, se quest’ansia ci fa stare troppo male, allora siamo fortemente tentati dalla semplificazione eccessiva, dalla banalizzazione salviniana. Ricordiamoci che tra i motivi del successo del fascismo c’è l’esplicita dichiarazione di farla finita con le riflessioni e le teorizzazioni e piuttosto di preferire in modo acritico e incondizionato l’azione.

Dunque per uscire dall’impasse politica in cui versiamo non basta leggere più libri (ogni riferimento a Baricco è assolutamente voluto): bisogna andare di più dallo psicologo!

Il tunnel dell’economia

Leggo l’editoriale di Scalfari odierno (17 agosto) nel quale brillantemente si tratta, tra l’altro, della differenza tra depressione e deflazione, delle cause e degli effetti dell’una e dell’altra, di come entrambe contribuiscono al declino complessivo dell’economia italiana, di come si potrebbe/dovrebbe operare a livello tecnico e politico per far fronte alla situazione. Limpido, chiaro, efficace.
Non posso però fare a meno di constatare, ancora una volta, che, ammesso che esista un modo per far riprendere le economie europee, tale processo viene concepito e messo in atto nelle modalità storiche che lo hanno determinato. Sicuramente si ripresenterà e forse in forme anche più gravi.
In ogni caso si tratta di un processo basato sull’incremento della produzione e dei consumi secondo aspettative e teorie risalenti al periodo nel quale si poteva ancora credere che le risorse naturali e ambientali fossero tanto grandi da potersi, ai fini pratici, considerare infinite.
Quanto queste convinzioni siano diventate drammaticamente inattuali è così evidente che non si richiede alcuno sforzo esplicativo epperò sembra che non possa esistere nessuna alternativa al modello economico vigente. Che significa affermare che non esiste la possibilità di evitare il disastro ecologico ed ambientale tipico delle dinamiche puramente zoologiche, il disastro delle sovrappopolazioni. Ovvero: se non ci fermiamo da soli, sarà l’ambiente a farlo, come sempre accade in natura. Peccato che si tratta di passare da milioni (miliardi?) di morti, da spaventose guerre e violenze e sofferenze inenarrabili.
Mi sembra una logica tossica e da tossicomane, forse oltre il tunnel dell’eroina esiste anche un collettivo tunnel dell’economia 🙁

Per una divergenza del pensiero economico

Leggo su Sole24ore un intessante articolo dal pessimo titolo “Occupazione 3.0”. Vabbè, si sa che i titolisti sono quello che sono, il contenuto mi è sembrato interessante e mi ha dato conferma di alcuni pensieri che vado facendo da qualche tempo a questa parte. Il nobel per l’economia Michael Spence, nobel nonché docente della Stanford University afferma

Occorrerà adottare un nuovo modello di crescita…. Il vecchio sistema, basato sul debito, non può funzionare.

Come dire, magari non era necessario essere un nobel per pensarla, questa cosa 😉 Comunque il fatto che sia un nobel ad affermarla immagino sia un conforto per quanti pensano che il sistema dell’incremento all’infinito dei consumi non possa essere alla lunga praticabile: anche ammesso di trovare modi sempre nuovi per colmare il fabbisogno energetico e tecnologie innovative per i materiali rimane l’incontrovertibile limite della finitezza del sistema terra.
Dunque: che vogliamo fare? Andare avanti come sappiamo nella certezza che si tratti di una corsa verso il disastro o investire per sperimentare e poi affermare un nuovo modello economico e di sviluppo? Secondo il mio sentire la domanda sarebbe da giudicare del tutto retorica ma da quel che vedo e che riesco a leggere non e affatto così! Le ricette per uscire dalla crisi sembrano tutte centrate sulla ripresa dei consumi, tutte con l’attenzione rivolta alla contingenza e manca quella capacità di vedere lo sviluppo nel tempo.
Mi auguro che affermazioni come quelle di Spence possano contribuire a creare un pò di divergenza tra gli economisti pensatori. Da parte nostra, e qui penso alla comunità dei docenti e dei formatori, credo ci sia la consapevolezza che si stia andando comunque verso sistemi che richiedono e sempre più a tutti richiederanno di diventare “più bravi”. Le competenze professionali e civiche dovranno sicuramente aumentare, e non di poco! Gli investimenti in formazione dovranno sicuramente crescere. Non saprei con esattezza affermare come potremmo cercare di convincerci sulla necessità di questo cambiamento, ma vedo e sento voci sparse (vedi ad esempio Come un fiore sul ciglio del prato (Natale 2012)) che, magari con un punto di osservazione diverso, tentano di convergere verso il medesimo risultato.