Cellulare a scuola? Si grazie!

Su “onlinecollege.org” un interessante articolo su dieci scuole (statunitensi) che hanno fatto un balzo nel superare il classico “divieto di telefonino” e hanno implementato strategie per farlo diventare vero e proprio strumento didattico.

Alla ONSLOW COUNTY SCHOOLS nel North Caroline, si è deciso di provare i dispositivi mobili all’interno di un programma di incremento di abilità matematiche. Lo studio riporta una maggiore confidenza degli studenti interessati con i temi della matematica e una maggiore sicurezza personale tanto che la metà di essi sta adesso considerando la possibilità di trovare un lavoro in campo matematico.

Alla CIMARRON ELEMENTARY SCHOOL ai bambini della scuola elementare sono stati assegnati dei cellulari con le funzioni di chiamata disabilitate ma del tutto funzionanti per tutte la connettività internet: posta elettronica, navigazione del web, esecuzione di quiz on line, di webquest, consultazione di vocabolari, esecuzione di compiti a casa. E per rimanere in contatto con i docenti. Il programma registra un incremento nei punteggi relativi alle abilità matematiche e scientifiche.

Rimando all’articolo originale per una completa lettura e tento un breve confronto tra la situazione come la viviamo da noi e come invece vissuta nei paesi anglofoni. A parte qualche lodevole iniziativa quale il “Simposio Internazionale su Mobile Learning per non vedenti” tenutosi a Palermo presso il CNR – Istituto per le Tecnologie Didattiche,  lo scorso 25 maggio, la stragrande maggioranza degli interventi sono di natura proibizionista e censoria: facendo una ricerca su google con parole-chiave “telefonino” e “scuola” si ottiene una intera pagina caratterizzata da  “Scuola: divieto di utilizzo del telefono cellulare per gli alunniCellulari vietati scuola, anche spentiCellularescuola? Assolutamente noTelefoninoscuola: vietato a insegnanti e studentiBasta telefoniniscuola!PI: Scuola, più facile sequestrare i cellulari, e così via dicendo…

Analoga ricerca con parole chiave “mobile” e “school” , questa volta in inglese quindi, restituisce una serie di link in maggioranza relativi ad iniziative didattiche innnovative, eventualmente rivolti a comunità svantaggiate di paesi in via di sviluppo. La cosa che fa veramente pensare è che si tratta comunque di siti italiani! Basta il cambiamento di lingua per intercettare un profondissimo cambiamento nell’approccio a questa tecnologia! Si veda ad esempio: Mobile knowledge academyENAIP – Progetto MobileSchoolMobile School: la scuola costruisce la scuola mobile in Etiopia,  etc. Tutto in positivo questa volta, la tecnologia vista come opportunità e non come minaccia.

E ancora, facendo una ricerca con “mobile at school”, si intercettano questa volta siti in lingua inglese, con pagine rivolte per lo più allo sviluppo del pensiero critico sulla materia in questione: Cell Phones at School: Should They Be Allowed?Don’t ban mobiles in schools, let students use themDebate: Should children have cell phones at school?Education World: Mobile Technology Goes to SchoolA template policy for mobile phones in school.

Una bella differenza!

Patrimonio Culturale Connessioni Digitali Ambienti di Apprendimento

Questo il titolo dell’intervento che ho tenuto in occasione della IV Giornata della Didattica Museale tenutasi presso l’Albergo dei Poveri a Palermo il 20 Aprile scorso. Gli interessati possono scaricare la locandina dell’evento e consultare l’articolo dedicato su arcadeisuoni.org che mette anche a disposizione tutti i materiali (slide e video) presentati nel corso della giornata.

Qui di seguito  le slide dell’intervento corredate dall’audio originale (slidecast):

La domenica de “Il Sole”

20120401-165804.jpg Due interessanti articoli sull’edizione di oggi 1 aprile de “La Domenica” del Sole 24 Ore, ne prendo un rapido appunto.

Nell’articolo “I professori dell’autoriforma” Sergio Luzzatto fa una affermazione assolutamente fondamentale: la scuola deve trasmettere (ma più che di trasmissione si tratta di sviluppare una competenza) ai giovani una vera e propria “epistemologia della rete“. È quanto già autonomamente fanno i docenti più motivati che lavorano per colmare il divario culturale e antropologico che rende gli scolari estranei a mondo della scuola. E lo fanno a prescindere da riforme e riformine…

Eraldo Cacchione, In “Una scossa per la scuola”, afferma (condivido pienamente) che le attuali dinamiche dei social network testimoniano l’avvenuto raggiungimento della maturità dell’era elettrica citata da Mc Luhan. La scuola, almeno quella parte della scuola ancora rigidamente gutenberghiana, si viene a trovare letteralmente “fuori dal mondo”.
Il passaggio da un’epoca all’altra avviene quando cambia il modo di immagazzinare e trasmettere la conoscenza. Ne deriva che la scuola non può trincerarsi dietro presunte “purezze disciplinari” che prescindono dai cambiamenti sociali e mediatici in atto.

I grandi musei e la didattica: il British Museum

Musei ed esposizioni hanno tutti una loro interfaccia “digitale” sul web. Concepita inizialmente per la diffusione delle informazioni sul patrimonio culturale in essi contenuto, la presenza di queste istituzioni ha gradatamente implementato strumenti e proposte dedicate esplicitamente al mondo della scuola e della formazione. Sono andato a dare un’occhiata a quanto, in proposito, stanno facendo alcuni grandi musei.

British Museum

Sul suo sito si trova una intera sezione chiamata Learning che introduce a cinque diversi ambienti: School and teachers, Family learning, Adult learning, Samsung Centre, Kids learn on line, ognuna delle quali ulteriormente suddivisa in proposte di attività. L’offerta è veramente ricca: in School and teachers si trova accesso alle “Risorse per la visita e per il lavoro in classe” già strutturate e organizzate per tema, per cultura, per fasce di età. Ai docenti sono dedicati corsi ed eventi, alcuni con ingresso libero, altri a pagamento; ai gruppi-classe in visita sono offerte diverse possibilità, ad esempio nel periodo in cui sto scrivendo questo post è possibile partecipare al workshop “Hajj: journey to the heart of Islam”  che prevede anche l’utilizzo della tecnologia “mobile” per interessare al massimo i ragazzi ed impegnarli in una serie di previste attività. Oltre all’interesse delle diverse proposte, colpisce la cura che traspare riguardo la preparazione delle diverse attività: l’idea è quella di coinvolgere i ragazzi mettendoli direttamente “al lavoro” mediante compilazione di schede di osservazione, elaborazioni di disegni, realizzazione di manufatti con le tecniche artigianali delle diverse culture. I docenti ( ma sono comunque liberamente scaricabili da tutti) trovano sul sito apposite pubblicazioni per la preparazione della visita della classe.

Nel Samsung Centre l’accento è spostato sull’utilizzo delle tecnologie con proposte anche in questo caso studiate per le diverse fasce di età e per i soggetti con disabilità: è possibile realizzare un podcast oppure progettare e virtualmente costruire un tempio greco, fare presentazioni multimediali o affrontare sfide scientifiche per risolvere dei misteri, oppure ancora comporre musica o realizzare versioni personalizzate di opere pittoriche e decorative.

L’ambiente “Kids learn on line” consente di scoprire i contenuti del museo, di partecipare ad un gioco interattivo di avventura chiamato “Time Explorer”, di accedere ad una serie di video concepiti per spiegare in pochi minuti alcuni temi importanti nella storia: la codificazione e la misura del tempo, l’evoluzione della moneta, dell’abbigliamento, della scrittura, tutti temi sempre attuali perché ci coinvolgono tutti nella vita quotidiana.

Il British è presente anche su Facebook, YouTube, Twitter, Flickr, e il sito offre l’abbonamento RSS ai contenuti del blog.

Europa, Digital Agenda, Europeana

20120318-004708.jpgLa Comunità Europea sta procedendo alla realizzazione di un progetto di dimensioni veramente considerevoli: nel quadro della iniziativa Digital Libraries” (all’interno di Digital Agenda) sta promuovendo la digitaIizzazione dell’intero patrimonio culturale pubblico europeo. Tale sconfinata risorsa dovrebbe essere messa a disposizione del pubblico piû vasto tramite “Europeana“, non so se definirlo come “portale” o altro, in ambito comunitario viene definito come “singolo punto di accesso al patrimonio culturale europeo”. Documento fondamentale di questa iniziativa, redatto da un comitato di saggi è The New Renaissance che batte fortemente sul tasto dell’importanza di Europeana, del finanziamento delle attività, della soluzione dei problemi legati ai diritti di riproduzione delle opere digitalizzate.
Come uomo di cultura non posso che apprezzare. Sono però anche spaventato dalla mole di lavoro e dalla mole delle necessarie risorse finanziarie: una eventuale incompletezza dell’opera rischierebbe di creare distorsioni in termini di visibilità negata alle opere che dovessero esserne rimaste fuori. Mi domando inoltre se sia veramente possibile fare in modo che lo stesso sistema di raccolta delle informazioni possa anche costituire il sistema della comunicazione e diffusione delle stesse: una sfida formidabile in termini di progettazione e realizzazione del sito web!

I Quattro Canti di Palermo

20120219-113447.jpgHo cominciato a leggere questo libro con una certa diffidenza: avevo sentito la presentazione in radio , con l’intervista allo stesso Di Piazza e vi avevo letto una certa retorica sulla città di Palermo e sulla vita che vi si svolge, avevo percepito una notevole quantità di “mestiere” che doveva essersi riversato nella scrittura, nella presentazione, nella distribuzione. Peró quando, nel pomeriggio dello stesso giorno, me lo sono trovato davanti mentre, all’edicola, compravo biglietti dell’autobus, non ho potuto fare a meno di acquistarlo.
E ho fatto bene.
La lettura mi ha subito preso, scorre piacevole e facile senza mai essere banale. L’alternanza, poi, di scene di morte e di scene di amore è molto efficace nel destare interesse. Ma c’è stato per me un elemento in piû, personale, anzi un doppio elemento di incremento del coinvolgimento: l’essere nato, cresciuto e vissuto a Palermo, l’essere coetano e appartenente al medesimo insieme socioculturale dell’autore. Pur non avendolo mai direttamente conosciuto, “lo conosco” come si conoscono molte persone dello stesso nostro ambiente, in modo indiretto, ma non piû che con “un grado di separazione”, per usare il linguaggio della rete. Dunque vi ho ritrovato il periodo dei miei venti anni, rivivendolo dal punto di vista di un protagonista differente. Dunque durante la lettura si accavallavano ed interagivano in me scene in “soggettiva” e in “oggettiva” con un effetto, confesso, di un certo turbamento.
Per questo non mi sento di giudicare il libro, almeno non secondo i parametri classici previsti per un’opera di narrativa. Piuttosto vorei fare qualche breve considerazione su quel periodo storico, terribile e interessante al tempo stesso.
Erano anni nei quali da casa mia, posta in un punto nevralgico del traffico cittadino, non si smetteva mai di sentire il suono di qualche sirena: o erano le ambulanze verso due degli ospedali più grandi della città o erano le scorte armate di magistrati e politici (il massimo raggiuntosi dopo le stragi di Falcone e Borsellino). Ed erano anche gli anni nei quali la mia generazione si era impegnata a trovare un lavoro, era agli inizi delle sua vita professionale. Per me e per tanti altri furono gli anni delle cooperative, nelle quali si erano riversati tanti giovani più o meno intellettuali, più o meno provenienti dal cosiddetto “riflusso” del periodo politico. Era quindi un periodo di grande sforzo creativo rivolto per lo più ad inventare lavori che fossero in qualche modo “alternativi” al classico “sistema” che per tanto anni avevamo cercato in tutti i modi di combattere. Sto dicendo che gi anni 80 furono anche, per certi versi, gli anni di un bel decennio, la città era viva, con forze giovani sinceramente al lavoro. Annì che mi hanno consentito di avvicinare e scoprire – con la cooperativa cui appartevo ci dedicavamo alla produzione di documentari e spettacoli di carattere antropologico e ambientale – temi e mondi altrimenti lontanissimi da me, persone e culture che hanno grandemente contribuito alla mia formazione personale.
Certo, nello stesso periodo tanti amici decidevano di distruggersi con l’eroina. E nel periodo successivo si assisteva al dilagare delle cooperative fittizie create all’unico scopo di farsi poi assumere dalla Regione Sicilia (quanti!)…
Sono temi che meriterebbero delle riflessioni molto più approfondite e documentate, ben al di là di un semplice “post” di un blog. Aggiungo solo una considerazione, rivolta essenzialmente ai non-palermitani: dai racconti di mafia, in generale dai racconti sulla vita in sicilia, sembra che tutti si debba vivere più o meno le stesse cose. Niente di più sbagliato! Non so se questo accada anche nelle altre città, ma qui è come se si vivesse in tante “enclave”, magari non rigidamente definite e confinate, ognuna di esse però costituendo un “mondo” con i suoi filtri e i suoi ammortizzatori. Esercitano una specie di confinamento “morbido” ma non per questo inefficace: se non si ha la curiosità di uscire dalla propria, di sperimentarne altre, ci si puó trovare a vivere vite totalmente diverse da quelle dei nostri omologhi e vicini.

Scoperte. Sgradevoli.

In questi giorni ho fatto delle scoperte: tutte sgradevoli.

Scoperta n.1
Da circa dieci giorni sono costretto a bazzicare ospedali e pronto soccorso, ma non è di sanità che voglio parlare, bensì della sintonizzazione dei televisori che ho visto in tutte le sale d’attesa e in tu tte le camere. Canale 5 stabile: biscione supestar! E guai a proporre un cambiamento…. Qualcosa dovrà pur significare.

Scoperta n.2
I recenti avvenimenti legati alla protesta dei “forconi” ha mostrato chiaramente come le tendenze “indipendentiste” dei siciliani nulla abbiano da invidiare alle grettezze leghiste: l’argomentazione “in sicilia raffiniamo il petrolio e qundi dobbiamo pagare di meno i carburanti” ha la stessa acutezza e raffinatezza de”i soldi delle tasse devono rimanere da chi le ha pagate”….

Scoperta n.3
I racconti delle atrocità commesse “tra vicini di casa” durante l’ultimo conflitto serbo-croato-bosniaco mi erano sembrati sino ad ora descrivere un fenomeno non ipotizzabile dalle nostre parti, ma i recenti avvenimenti di accaparramento vistisi ai distributori di benzina e ai supermercati alimentari mi costringe a ricredermi. Nel mio palazzo, abitato per lo più da gente benestante e di età media piuttosto elevata in ben tre occasioni nella stessa giornata ho sentito odore di benzina in ascensore! Segno evidente di un panico non soddisfabile facendo il pieno di tutte le auto di casa… E infatti in città i primi incendi non si sono fatti attendere. Mamma mia! E se davvero scoppiasse una guerra cosa faremmo? Andremmo subito all’assalto all’arma bianca del contenuto del frigorifero del vicino?

🙁

E le fotografie

E le fotografie, dal fondo del tempo, stavano a guardarci. Rappresentavano davvero, come aveva scritto nel 1984, “l’arte di dar caccia al volto del presente, com’esso emerge dal futuro ignoto per scivolare nell’imprendibile passato”.

Tratto da Nostro Sud di Fosco Maraini, pag 23

Docente-autore: una difficoltá

Leggo ne “Adottare l’elearning a scuola” di roberto Maragliano:

… nella rete, in misura assai più pronunciata di come questo avviene nel mondo fisico, il docente è anche autore, in quanto comunica con gli allievi tramite scrittura e/o registrazione audio/video. Autore può esserlo in misura elevata come in misura minima, a seconda del modello didattico cui fa riferimento, cioè se è molto o poco attivo in rete, ma non potrà mai considerare se stesso come semplice docente che fa lezione: sarà sì docente ma anche autore, in quanto lascerà traccia scritta o video/audio registrata della sua azione, in quanto si sarà fatto “testo”. E così il docente che adotta l’e-learning adotta se stesso anche come autore.

Mi sembra si possa qui individuare uno dei motivi di difficoltà che l’introduzione dell’elearning incontra nella scuola. La considerazione è di stampo pessimistico, mi sento però di farla per lunga esperienza diretta con i colleghi: la maggior parte non è affatto contento di una simile prospettiva. Molti addirittura la vedono come fumo negli occhi, un pò per pigrizia, un molto per non esporsi a possibili critiche, non esporre al giudizio pubblico la propria (in)competenza professionale.
Brutto ma vero.

Le metodologie didattiche sono espressione e realizzazione di valori

Leggo su “Didattica attiva con la Lim” una bella citazione di Bruno Ciari:

Gli strumenti sono utilizzabili per scopi diversi, Le metodologie didattiche sono espressione e realizzazione di valori

E subito mi si scatena una serie di riflessioni.

Quindi chi sostiene che sia necessario tornare alla scuola “all’antica” non sta facendo altro che abdicare alla possibilità di guardare e analizzare la trasformazione della società e delle stessa conoscenza a favore di un modello che coincide con quello “subito” da bambino e da ragazzo durante il suo periodo scolastico.
In questo senso sembra delinearsi chiaramente una significativa concordanza tra gli obiettivi dell’azione educativa e i metodi adottati per realizzarla. Questa cosa sembra assolutamente chiara se pensiamo ad esempio alla gentilezza: insegnare ad un bambino ad essere gentile richiede la pratica della gentilezza verso lo stesso bambino che in tal modo ha la possibilità di sperimentare cosa la gentilezza sia e quali ne siano gli effetti quando se ne è fatti oggetto. Nessuno penserebbe di insegnare la gentilezza con la violenza…
Adottare quindi come metodo educativo scolastico quello della ripetizione di contenuti codificati dal testo , ovvero la classica dinamica scolastica , mi sembra solamente idoneo allo sviluppo dell’individuo conformista. Cosa del resto facilmente riconoscibile tra gli obiettivi della scuola almeno sino agli anni 70: riuscire nella vita significava conformare la propria testa, ovvero il proprio pensiero, le proprie convinzioni, il proprio sentire a modelli di volta in volta coincidenti con quelli precodificati per i vari mestieri e professioni.
Chi continua a sostenere una tesi del genere non si rende conto ( in qualche caso in buona fede) che gli obiettivi della scuola sono molto cambiati! Se non altro, volendo trascurare tutte le istanze libertarie e di rinnovamento emerse nella seconda metà del secolo scorso, per un motivo assolutamente strumentale: i ragazzi che oggi terminano gli studi devono essere molto più praparati dei loro omologhi dei decenni precedenti. Lo sostengo pensando alla accresciuta complessità del sistema nel quale viviamo e dal quale dobbiamo trarre il nostro sostentamento (non basta più “imparare un mestiere”) , pensando all’accresciuta mole di conoscenze e competenze legate ai settori tecnici e scientifici, pensando al rimanere sul territorio nazionale di sempre minori opportunità legate al classico manifatturiero (esportato in paesi che garantiscono una molto maggiore economia della realizzazione) capace di assorbire rapidamente masse di persone con limitati livelli di scolarizzazione e specializzazione. Pensando che dobbiamo diventare sempre “più bravi” in tutto ciò che ci toccherà di fare.