Il valore della parola nel mantenimento della libertà. Da vedere.
Maggot Brain
Ci sono delle creazioni che acquistano in noi un valore particolare: l’altro giorno ho per caso riascoltato “Maggot Brain”, bellissimo, ricavandone delle sensazioni più estese del solito. Gli amanti del rock conoscono bene tutte le sfumature di sentimento ed emozioni che il genere provoca sugli ascoltatori: qui il brano è dominato quasi interamente dallo spettacolare assolo della chitarra elettrica di Eddie Hazel che ci inchioda con una sensazione dolce e insieme straziante. Si, questo suono, quella chitarra, ci colpiscono lasciandoci senza difesa alcuna, rapiti. La mia sensazione è stata quella di trovarmi ad avvertire in un solo colpo l’essenza dell’estetica giovanile degli anni 70. Pace e amore, comunione con la natura, niente barriere e nessuna indifferenza, l’utopia come unico sogno perseguibile. Ascoltando il brano tutto è tornato prepotentemente a galla, tutto il bello creato e concepito da quella cultura. Ed insieme ad esso un amaro, amarissimo senso di lutto per il massacro di quelle istanze compiuto senza pietà nei decenni successivi. L’abbiamo pagata cara, con la fine del sogno hanno avuto il sopravvento l’eroina, l’Aids e il suicidio. Il numero di morti è stato di gran lunga superiore a quello del Vietnam. Lo strazio è intatto, ce lo ricorda il suono prolungato della chitarra, quasi il lamento di un cetaceo sperduto che chiama il branco ormai arrivato all’altro capo del mondo.
Buon ascolto: Maggot Brain
La Palermo degli ultimi
Sono andato venerdì sera alla inaugurazione della mostra di Giacomo D’Aguanno e Francesco Faraci. Li conosco entrambi da tempo e conoscevo giá le loro foto e quindi in qualche modo mi sentivo “preparato” ad una sorta di gradevole deja-vu sui noti temi della palermitanitudine. Invece no, sin da subito la mostra mi spiazza con la sua giustapposizione, con l’affiancamento di bianconero e colore, con il mescolamento insieme manifesto e implicito delle immagini dei due autori e subito penso alla estrema rischiosità dell’operazione prevedendo di dover assistere ad una certa disastrosità espositiva. Ebbene, non mi vergogno a dirlo, mi stavo sbagliando clamorosamente: l’idea, mi è stato confermato dalla curatrice, è stata di Giacomo e Francesco i quali, pur non essendosi direttamente frequentati prima di questa occasione, riescono miracolosamente a mettere insieme i loro lavori, ad abbandonare quelle che nell’ambiente palermitano (credo non esclusivamente) sono le ben conosciute miserelle gelosie professionali di chi si ritrova ad operare nel medesimo ambiente e ad optare per quello che credo non possa altrimenti essere definito che un atto di amore per questa città, i suoi abitanti, i suoi irredimibili problemi.
L’esposizione è arricchita con un ben fatto catalogo (tra l’altro distribuito gratuitamente) corredato da significative presentazioni tra le quali spicca quella di Giosuè Calaciura che è riuscito a mio parere a centrare più degli altri il senso e l’importanza del lavoro in mostra e a meglio esprimerlo, restituendo per intero il senso della validità di una idea invero non nuovissima per questa città e tuttavia sempre valida e, grazie alla qualità complessiva, ancora opportuna. Mi permetto di citarne una brevissima parte:
È ancora attraverso le fotografie che Palermo continua ad offrire qualche notizia di sé, si lascia leggere, in qualche caso decifrare, accetta una minima interpretazione di se stessa, a volte persino mettendosi in posa nella consapevolezza irridente del suo mistero. […] A Palermo, quasi un mandato, quello della fotografia.
Uomini o sardine
Leggo oggi gli interessanti e belli articoli su Pasolini. Quando è morto, nel 75, ero troppo giovane per avere una idea compiuta dell’uomo e dell’artista. Si, mi ero imbattuto in qualche suo film ma, sinceramente, non ne ero rimasto granché impressionato. Oggi, appena più consapevole di allora, comincio ad apprezzare e rimango assai colpito da alcune affermazioni che trovo riportata:
«La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa — scriveva, nel 1974 — Non c’è più dunque differenza apprezzabile… tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente, e quel che più impressiona, fisicamente, interscambiabili… I giovani neofascisti che con le loro bombe hanno insanguinato l’Italia, non sono più fascisti… Se per un caso impossibile essi ripristinassero a suon di bombe il fascismo, non accetterebbero mai di ritornare ad una Italia scomoda e rustica, l’Italia senza televisione e senza benessere, l’Italia senza motociclette e giubbotti di cuoio, l’Italia con le donne chiuse in casa e semivelate. Essi sono pervasi come tutti gli altri dagli effetti del nuovo potere che li rende simili tra loro e profondamente diversi rispetto ai loro predecessori».
Meno male che c’è Radio 3!
Qual’è la vostra radio preferita? Io ne ho due: Virgin Radio e Radio3. La prima per la musica sbomballante, ovviamente, la seconda…. beh, la seconda è tutta un’altra cosa. Si perché Radio 3 sembra essere il fossile vivente di una epoca nella quale la ragione, l’uso del confronto dialettico, il piacere di elaborare pacatamente il pensiero, la ricerca, la curiosità verso il mondo, il tentativo di capire come stanno le cose venivano considerate cose belle, buone e importanti. Atteggiamenti da valorizzare e perseguire. Un pugno di persone riescono ancora a fare una radio di questo tipo. Come fai a trovare il tempo di seguirla, mi si dice. La risposta è semplice: intanto, tranne rari film, non guardo televisione…. (si, ho sangue alieno nelle vene . . ). E poi ci sono i podcast! Non so perché, i podcast siano così poco frequentati, sono semplici da usare e comodissimi. Così spesso la sera mi ritrovo a lavorare sulle foto e ad ascoltare qualche podcast di Radio 3.
Ma in realtà sto divagando, mi sono lasciato prendere la mano e invece volevo dire un’altra cosa: oggi la giornata intera su Radio 3 è stata dedicata all’uso della lingua italiana. Una cosa intelligente, direi, un qualcosa di veramente opportuno, e anche, perché no, un atto d’amore.
Le Vie dei Tesori
Passeggiata domenicale, stamattina, l’intenzione è quella di andare a visitare Palazzo De Seta, è una vita intera che lo vedo chiuso, la curiosità è massima, occasione da non perdere. Coda micidiale! Si tratta di due ore circa, vabbé, forse non è il caso di aspettare, ci sono tante altre cose da vedere!
Ed in effetti è proprio così, la attuale edizione de “Le vie dei tesori”, conferma che si tratta di una iniziativa di grandissimo successo, i palermitani partecipano numerosissimi e anche i turisti non mancano. La nostra scelta (alternativa) è caduta sulla Cripta della Chiesa dei Cocchieri e sulla mostra “Le Stanze del Genio”. Dappertutto gente contenta e soddisfatta, personale, soprattutto ragazzi e ragazze gentili e disponibili, tutto bene, unico disappunto “ma perché queste cose non possiamo farle tutto l’anno?” Immagino che i motivi logistici ed economici possano essere lungamente elencati tuttavia mi pare di capire che uno dei motivi del successo sta proprio nella transitorietà e nella fuggevolezza, sono occasioni da prendere al volo e se, come oggi, la giornata è bella, allora la città diventa godibile. Addirittura ci si può persino spingere a pensare che qualche motivo per viverci, intendo in questa città, ebbene qualche motivo riusciamo persino a trovarlo!
Citazioni: Creazione, rock, mito, natura
Pensa che tutti possano essere creativi?«Magari. Ma non è così. La creazione è un atto di guerra non un armistizio con la realtà».
Per me il rock è sempre stato l’affresco di un momento storico ma oggi ha perso molto del suo istinto politico». Incalza Bono: «La rabbia che segue il dolore e la perdita è il motore di tutto, anche del rock, quello di Lennon e dei Clash, quello che è stato neutralizzato dal pop e in molti casi dalla fama e dal denaro». «Viziato dai talent show», aggiunge il bassista Adam Clayton. Anche voi siete adulti, ricchissimi eppure ancora sufficientemente rock. Risponde The Edge: «Ne deduco che non siamo cresciuti».
Senza la natura il mito non esisterebbe. Come dimostra ora l’importante mostra al Palazzo Reale di Milano. Ma senza il mito non ci sarebbe la natura. L’uno vive in funzione dell’altra, legati da un’attrazione fatale, da un magnetismo dell’immaginario che è all’origine dell’arte e, in generale, del pensiero umano.
Photomediations Open Book – L’introduzione
Qualche tempo fa mi sono dedicato alla traduzione dell’introduzione a “Photomediations: an Open Book” per costrigermi a leggere con calma e a riflettere. Si tratta di concetti piuttosto sfuggenti.
Dal momento che siamo ormai alla ripresa delle attività autunnali mi sembra il caso di riportarne qui la traduzione .
Non è forse esagerato descrivere la fotografia come una delle pratiche costituenti la quintessenza della vita. Leggi tutto “Photomediations Open Book – L’introduzione”
L’ultima caccia
Se qualcuno avesse voglia di vedere cosa ho letto questa estate, e ho fatto letture soddisfacenti, potrebbe andare a curiosare nella mia libreria su Anobii per vedere titoli e stelline assegnate. Recensioni in questo periodo non ne ho fatte, mi accingo qui a scrivere qualche rigo per l’ultima lettura: L’ultima caccia di Joe R. Lansdale. Ed in effetti non si tratta di recensione (anche per questo non la scrivo su Anobii) ma di qualche considerazione che la lettura mi ha sollecitato.
La cosa che mi ha colpito di più è stata la determinazione ad uccidere il cinghiale-mostro e la consuetudine dei personaggi, si tratta pur sempre di ragazzi, all’uso delle armi e alle strategie della caccia. Fossimo a scuola parleremmo di vere e proprie “competenze”. Mi colpisce non tanto in sé, non siamo in presenza qui di una sorta di “Moby Dick” in salsa western, quanto piuttosto al pensiero delle differenze culturali tra la mia generazione e la generazione degli attuali ventenni per i quali, credo, il senso ricavato dal libro sarebbe affatto differente dal mio. Personalmente ho un chiaro ricordo della diffusione – parlo della Sicilia – delle armi nelle campagne degli anni 60: i carrettieri portavano sempre con sé la “scopetta” ad uso difesa personale. Ma un fucile da caccia c’era in tutte le case e andare, di tanto in tanto, a sparare ad un coniglio era del tutto normale. Anche una certa dose di bracconaggio era del tutto normale . . . L’inseguimento e l’eccitazione personale e dei cani, per quanto per “prede” non lontanamente paragonabili al cinghiale del libro, non mi sono quindi estranee, anzi, credo costituiscano una parte importante della mia formazione “naturalistica” soprattutto per quanto riguarda la percezione della vita e della morte e dell’umano arbitrio nel dare la vita o nel dare la morte. Per i giovani attuali non andare a caccia è un imperativo morale, per la mia generazione, a partire da un verto punto, è stata una scelta. Già per questo motivo ho la sensazione che il romanzo, considerato di “formazione”, sugli attuali giovani non avrebbe questo effetto. Ma ci sono anche altre importanti differenze: il voler diventare rapidamente adulti, il formarsi un carattere indipendente e coraggioso, il bisogno di sfidare le autorità dei genitori non appartengono più, oggi, all’antropologia dell’adolescente e del giovane adulto. Con questo non voglio coniugare l’usuale, retorico, discorso “dei vecchi bei tempi”, sono certo che gli attuali giovani siano obbligati ad affrontare sfide altrettanto impegnative, o forse più impegnative se riflettiamo alla complessità dell’economia e del mondo del lavoro, semplicemente mi fermo ad osservare che le attuali sfide riguardano sempre più un mondo artificiale un mondo lontano dal contatto con le ruvidezze e le bellezze della natura.
Un morbido approccio ad un cuore di tenebra
Mi ha decisamente colpito nel discorso di Suki Kim l’assenza delle classiche parole “lotta” e “battaglia”, parole decisamente inflazionate nel gergo politico e giornalistico dei nostri regimi, mi riferisco ai regimi europei, che certamente sono incredibilmente aperti e democratici rispetto a quello della Corea del Nord. Ci sarebbe veramente da riflettere sul perché noi siamo affezionati ad una retorica così palesemente basata sul conflitto….
https://embed-ssl.ted.com/talks/lang/en/suki_kim_this_is_what_it_s_like_to_teach_in_north_korea.html