Ragionando su un possibile “flipped book”

Per continuare la riflessione sulla flipped classroom e soprattutto sul flipped textbook, proverò adesso a concepire in questa logica un possibile “capitolo” di libro di testo della disciplina che insegno (elettronica)  e qualche attività da svolgere in classe con gli alunni.

Supponiamo di volere descrivere come è fatto e come, anche artigianalmente sia possibile realizzare, un piccolo apparato molto diffuso: un amplificatore audio da collegare al computer o al lettore mp3.

Volendo ragionare in termini di conoscenze – abilità – competenze potremmo dire che:

  • le conoscenze sono quelle relative agli schemi elettrici adottabili e ai componenti commerciali disponibili;
  • le abilità sono quelle relative alla ricerca dei materiali, dei componenti, la comprensione delle specifiche, la descrizione delle funzionalità;
  • le competenze sono quelle sintetiche di progetto, di realizzazione pratica in laboratorio, di preparazione di materiali illustrativi.

I relativi contenuti sono tra quelli classicamente trattati nelle classi quarte, in special modo gli amplificatori audio realizzati con amplificatori operazionali e gli alimentatori stabilizzati.

Comincio la riflessione con l’elaborazione di una piccola mappa concettuale che mi serve a mettere in evidenza la composizione del sistema nelle sue diverse componenti. In verde ho indicato il dettaglio della componente elettronica.

Ogni nodo della mappa potrebbe a questo punto essere tradotto in un paragrafo o in un capitolo del testo di riferimento, non escludendo, ovviamente, eventuali riferimenti esterni a materiali on line (i modelli commerciali ad esempio).
Se ne deduce questo possibile sommario:

  • AMPLIFICATORE AUDIO PER PC
    • esempi commerciali
    • composizione
      • contenitore
      • cavi e spinotti
      • altoparlanti
    • l’elettronica
      • alimentatore stabilizzato
      • amplificatore
      • regolazione dei toni

Nella descrizione dell’elettronica ho volutamente omesso i dettagli dei sottotemi per non essere prolisso e pedante.

Gli obiettivi formativi perseguibili sono tra i seguenti:

  • descrizione del sistema e delle sue funzionalità
  • conoscenza di alcuni amplificatori integrati facilmente reperibili, capacità di lettura delle specifiche tecniche, conoscenza orientativa dei prezzi e dei paesi di provenienza
  • riproduzione e descrizione dello schema elettrico dei più comuni amplificatori con operazionali
  • progettazione di un semplice amplificatore audio con operazionale
  • conoscenza degli integrati più diffusi per la realizzazione di amplificatori audio di piccola potenza
  • descrizione e spiegazione del funzionamento degli schemi elettrici usabili con amplificatore audio integrato
  • etc etc

A questo punto non dovrebbe essere difficile dare avvio alla scrittura vera e propria senza dimenticare:

  • la contestualizzazione di ogni elemento della trattatazione  e il riferimento continuo agli specifici obiettivi;
  • di tenere a bada la tentazione e la tradizione della “trattazione completa ed esaustiva”;
  • che ogni elemento della trattazione deve poter dare luogo ad una esperienza o deve comunque potersi riferire ad una esperienza da proporre agli alunni.

In questa riflessione posto non marginale assumono le considerazioni relative alle modalità di scrittura del testo stesso in quanto appare subito chiaro che:

  • vengono meno le necessità di completezza: i diversi temi possono essere scritti e proposti in tempi diversi, eventualmente stratificandosi e arricchendosi negli anni;
  • la scrittura dello stesso testo può essere eseguita anche da diversi docenti con modalità efficacemente cooperative e collaborative.

Entrambi i punti ci inducono inoltre a ritenere che il necessario sforzo produttivo sia affrontabile anche da docenti non classicamente “autori” di testi scolastici.

Nel prossimo post cercherò di delineare quali potrebbero essere le attività da proporre agli alunni per il lavoro in classe.

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Flipped classroom e flipped textbook: la scuola al contrario?

Mi sta sembrando molto interessante la lettura degli interventi sui siti http://flippedtextbook.com/http://coredogs.com/article/tale-two-students . L’idea che vi sta alla base è quella di invertire il tradizionale flusso delle attività di insegnamento-apprendimento ovvero: il docente “eroga” la sua lezione, per lo più in formato frontale, e assegna dei compiti; il discente, da solo, in orario post-lezione, legge il libro ed esegue gli esercizi. Nella “flipped classroom” accade invece l’inverso: gli studenti “studiano a casa” la lezione che il discente ha assegnato ( e per la quale ha preparato una opportuna e idonea raccolta di materiali), in classe si eseguono gli esercizi o comunque i “compiti”. In tal modo il tempo-docente viene adoperato per la fase di lavoro probabilmente più critica: l’esemplificazione delle attività, i chiarimenti, il supporto alla comprensione individuale. Tale approccio mi sembra ben espresso dalla figura:

schematizzazione del metodo della flipped classroom

La progettazione è tutta incentrata sugli “outcomes” ovvero i risultati di apprendimento espressi in “what students can do”, cosa gli studenti devono sapere fare. Per imparare  fare bisogna condurre ed esporsi a delle esperienze, cioè quell’insieme di attività che gli studenti fanno per imparare. Le esperienze vengono generate e proposte dalla progettazione didattica del docente e da un insieme di risorse tra le quali vi sono anche i libri di testo. E’ immediatamente avvertibile in questa esemplificazione la curvatura sul “fare” piuttosto che sul “sapere”: un approccio molto vicino a quello che si sta introducendo nella scuola italiana, mi riferisco alla didattica per abilità e competenze. Inoltre si nota l’accento sulla progettazione e sulla presenza di un insieme di risorse. Manca la centralità del libro di testo, dell’ipse dixit disciplinare da ripetere più o meno a memoria.

La conseguenza pratica di questo tipo di approccio relativamente alla scelta delle risorse e all’eventuale dedicato libro di testo conduce alla progettazione e realizzazione di testi scolastici affatto differenti da quelli tradizionali. L’esempio portato da Coredogs (si tratta di un corso per web developer) mi sembra molto calzante: mentre l’approccio tradizionale prevede un indice (e quindi una trattazione)  centrata sulle differenti tecnologie disponibili per costruire un sito web (html, css, php, etc…), l’approccio “flipped” prevede un indice che elenca una serie di azioni (realizzare una pagina web di solo testo, creare una pagina con link ipertestuali, etc ). Una delle conseguenze immediate è che il secondo indice non contiene parole sconosciute ed è immediatamente comprensibile; il primo invece contiene un elenco di tecnologie delle quali lo studente non conosce ancora nemmeno il glossario. Nell’indice flipped le “azioni” elencate sono immediatamente intraprendibili, motivano immediatamente al “fare”; nello sviluppo del testo le conoscenze necessarie e il supporto alla comprensione vengono strettamente contestualizzati. Ne risulta un modo di procedere assai più efficace e motivante: lo studente è consapevole, momento per momento, del perché diventi necessario apprendere certe cose, l’obiettivo è sempre lì a portata di mano. Vengono evitate quelle lunghissime fasi “propedeutiche” che fanno pensare agli studenti “ma a che mi serve sapere questa cosa?”

Non mi sentirei di affermare che questo è l’approccio vincente per tutte le diverse discipline, ma per quelle che trattano di tecniche e di tecnologie mi sembra proprio di sì. Soprattutto pensando alla mole crescente di conoscenze nei campi come l’informatica o l’elettronica diventa chiaro come risulti sempre più difficile un approccio “che getti le basi” partendo dal basso, dalle origini storiche e concettuali della materia da apprendere. Si rischia di non arrivare mai alla meta prefissata. Meglio un approccio che “parta dalla fine”, che metta al centro dell’attenzione dell’allievo il prodotto o il processo finito, stimolando in tal modo la curiosità e la voglia di andare avanti.

Continua con:

Ragionando su un possibile “flipped book”
Flipped classroom – le attività in classe

I Quattro Canti di Palermo

20120219-113447.jpgHo cominciato a leggere questo libro con una certa diffidenza: avevo sentito la presentazione in radio , con l’intervista allo stesso Di Piazza e vi avevo letto una certa retorica sulla città di Palermo e sulla vita che vi si svolge, avevo percepito una notevole quantità di “mestiere” che doveva essersi riversato nella scrittura, nella presentazione, nella distribuzione. Peró quando, nel pomeriggio dello stesso giorno, me lo sono trovato davanti mentre, all’edicola, compravo biglietti dell’autobus, non ho potuto fare a meno di acquistarlo.
E ho fatto bene.
La lettura mi ha subito preso, scorre piacevole e facile senza mai essere banale. L’alternanza, poi, di scene di morte e di scene di amore è molto efficace nel destare interesse. Ma c’è stato per me un elemento in piû, personale, anzi un doppio elemento di incremento del coinvolgimento: l’essere nato, cresciuto e vissuto a Palermo, l’essere coetano e appartenente al medesimo insieme socioculturale dell’autore. Pur non avendolo mai direttamente conosciuto, “lo conosco” come si conoscono molte persone dello stesso nostro ambiente, in modo indiretto, ma non piû che con “un grado di separazione”, per usare il linguaggio della rete. Dunque vi ho ritrovato il periodo dei miei venti anni, rivivendolo dal punto di vista di un protagonista differente. Dunque durante la lettura si accavallavano ed interagivano in me scene in “soggettiva” e in “oggettiva” con un effetto, confesso, di un certo turbamento.
Per questo non mi sento di giudicare il libro, almeno non secondo i parametri classici previsti per un’opera di narrativa. Piuttosto vorei fare qualche breve considerazione su quel periodo storico, terribile e interessante al tempo stesso.
Erano anni nei quali da casa mia, posta in un punto nevralgico del traffico cittadino, non si smetteva mai di sentire il suono di qualche sirena: o erano le ambulanze verso due degli ospedali più grandi della città o erano le scorte armate di magistrati e politici (il massimo raggiuntosi dopo le stragi di Falcone e Borsellino). Ed erano anche gli anni nei quali la mia generazione si era impegnata a trovare un lavoro, era agli inizi delle sua vita professionale. Per me e per tanti altri furono gli anni delle cooperative, nelle quali si erano riversati tanti giovani più o meno intellettuali, più o meno provenienti dal cosiddetto “riflusso” del periodo politico. Era quindi un periodo di grande sforzo creativo rivolto per lo più ad inventare lavori che fossero in qualche modo “alternativi” al classico “sistema” che per tanto anni avevamo cercato in tutti i modi di combattere. Sto dicendo che gi anni 80 furono anche, per certi versi, gli anni di un bel decennio, la città era viva, con forze giovani sinceramente al lavoro. Annì che mi hanno consentito di avvicinare e scoprire – con la cooperativa cui appartevo ci dedicavamo alla produzione di documentari e spettacoli di carattere antropologico e ambientale – temi e mondi altrimenti lontanissimi da me, persone e culture che hanno grandemente contribuito alla mia formazione personale.
Certo, nello stesso periodo tanti amici decidevano di distruggersi con l’eroina. E nel periodo successivo si assisteva al dilagare delle cooperative fittizie create all’unico scopo di farsi poi assumere dalla Regione Sicilia (quanti!)…
Sono temi che meriterebbero delle riflessioni molto più approfondite e documentate, ben al di là di un semplice “post” di un blog. Aggiungo solo una considerazione, rivolta essenzialmente ai non-palermitani: dai racconti di mafia, in generale dai racconti sulla vita in sicilia, sembra che tutti si debba vivere più o meno le stesse cose. Niente di più sbagliato! Non so se questo accada anche nelle altre città, ma qui è come se si vivesse in tante “enclave”, magari non rigidamente definite e confinate, ognuna di esse però costituendo un “mondo” con i suoi filtri e i suoi ammortizzatori. Esercitano una specie di confinamento “morbido” ma non per questo inefficace: se non si ha la curiosità di uscire dalla propria, di sperimentarne altre, ci si puó trovare a vivere vite totalmente diverse da quelle dei nostri omologhi e vicini.

Micro-corso LIM

Ho terminato da poco gli incontri di un breve corso  che ho tenuto nella mia scuola sull’utilizzo della Lavagna Interattiva Multimediale. Solamente tre incontri, centrati principalmente sul “fare”, giusto per consentire ai colleghi interessati di poter utilizzare questi nuovi strumenti presenti in alcune aule della nostra scuola. L’andamento del corso ha confermato ancora una volta l’interesse dei docenti per questa tecnologia: a differenza di altri corsi, anche su temi molto affascinanti come il web 2.0, i colleghi hanno subito cominciato ad immaginare e proporre possibili utilizzi. Le parti del corso contenenti le “spiegazioni” (soprattutto del software di preparazione ed erogazione delle lezioni) sono stati registrate: ne incorporo i video qui di seguito.

Utilizzare la LIM – Lavagna interattiva multimediale – Parte 1a from insegnalo.it on Vimeo.

Qui di seguito gli altri video:

Leggi tutto “Micro-corso LIM”

Scoperte. Sgradevoli.

In questi giorni ho fatto delle scoperte: tutte sgradevoli.

Scoperta n.1
Da circa dieci giorni sono costretto a bazzicare ospedali e pronto soccorso, ma non è di sanità che voglio parlare, bensì della sintonizzazione dei televisori che ho visto in tutte le sale d’attesa e in tu tte le camere. Canale 5 stabile: biscione supestar! E guai a proporre un cambiamento…. Qualcosa dovrà pur significare.

Scoperta n.2
I recenti avvenimenti legati alla protesta dei “forconi” ha mostrato chiaramente come le tendenze “indipendentiste” dei siciliani nulla abbiano da invidiare alle grettezze leghiste: l’argomentazione “in sicilia raffiniamo il petrolio e qundi dobbiamo pagare di meno i carburanti” ha la stessa acutezza e raffinatezza de”i soldi delle tasse devono rimanere da chi le ha pagate”….

Scoperta n.3
I racconti delle atrocità commesse “tra vicini di casa” durante l’ultimo conflitto serbo-croato-bosniaco mi erano sembrati sino ad ora descrivere un fenomeno non ipotizzabile dalle nostre parti, ma i recenti avvenimenti di accaparramento vistisi ai distributori di benzina e ai supermercati alimentari mi costringe a ricredermi. Nel mio palazzo, abitato per lo più da gente benestante e di età media piuttosto elevata in ben tre occasioni nella stessa giornata ho sentito odore di benzina in ascensore! Segno evidente di un panico non soddisfabile facendo il pieno di tutte le auto di casa… E infatti in città i primi incendi non si sono fatti attendere. Mamma mia! E se davvero scoppiasse una guerra cosa faremmo? Andremmo subito all’assalto all’arma bianca del contenuto del frigorifero del vicino?

🙁

Istituti Tecnici – Le “indicazioni” per il secondo biennio e il quinto anno

Finalmente rese disponibili con Direttiva 16 gennaio 2012, n. 4 (vedi http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=8347) . Si tratta ora di vedere che accoglienza avranno tra i docenti della scuola . . . Ho letto con interesse, oltre alle schede relative alla mia materia di insegnamento, le “linee guida”  che ne spiegano finalità e struttura: ne riporto qui alcuni passaggi che mi sono sembrati particolarmente interessanti (il grassetto è mio).

In continuità con le Linee Guida relative al primo biennio, il documento non si pone come un prescrittivo “programma ministeriale”, ma vuole costituire un sostegno all’autonomia delle istituzioni scolastiche, per un’adeguata definizione del piano dell’offerta formativa e una efficace organizzazione del curricolo. In quest’ottica, i contenuti curriculari espressi vanno intesi come unabase di riferimento per la programmazione didattica di istituto, di classe e di insegnamento; essevanno, pertanto, assunte come punto di partenza per una approfondita riflessione da parte di tutti gli operatori interessati.

Viene qui ribadito qualcosa che sia molti colleghi che la maggior parte delle famiglie avrebbero già dovuto sapere da anni: non esiste, non deve esistere più la “lista dei contenuti” impartita dal Ministero! Piuttosto si tratta di costruire un curricolo che preveda lo sviluppo di competenze: scolastiche prima, professionali poi.

. . . ciò che connota gli Istituti Tecnici è l’obiettivo di far acquisire la padronanza di competenze scientifiche e tecnologiche che consentano al diplomato tecnico di interpretare, partecipare, gestire e coordinare processi produttivi caratterizzati da innovazioni continue, anche in una prospettiva di sviluppo. Gli Istituti Tecnici, quindi, si propongono di fornire allo studente una solida base culturale e, nel contempo, una specializzazione attraverso l’approfondimento, disciplinare e interdisciplinare, delle tecnologie e delle competenze scientifiche ad esse collegate, che gli permettano non solo di intervenire nei processi in atto ma anche di sviluppare le capacità creative e progettuali necessarie ad intercettare e presidiare l’innovazione.

Si esprime qui una visione molto “alta” del diplomato. Mi sembra importante lo sforzo di coniugare la crescita personale, la formazione culturale, la formazione professionale.

La risposta ai problemi di cambiamento della Scuola del secondo ciclo non risiede nella riproposizione dell’egemonia della cultura umanistica o di quella della cultura scientifica e tecnologica. I momenti più alti del “genio italiano” sono infatti avvenuti nell’intreccio dei saperi e nella loro feconda integrazione.

Mi pare sia un esplicito invito ad abbandonare una volta per tutte la visione crociana della cultura.

Il miglioramento della qualità dell’offerta di istruzione e formazione si realizza, inoltre, con l’adozione di metodologie didattiche innovative – altro punto chiave della Raccomandazione europea – fondate sia sull’ampio uso delle tecnologie informatiche (IT), sia sulla valorizzazione del metodo scientifico e dell’approccio laboratoriale, diffuso non solo alle discipline tecnologiche, ma a tutte le discipline del curricolo. Si fa riferimento, in particolare, all’utilizzo di aule attrezzate con la lavagna interattiva multimediale (LIM), che consente di gestire l’attività didattica in modo più efficace e funzionale ad una partecipazione “attiva” degli studenti; o, ancor più, ad una didattica laboratoriale, non legata ad uno specifico luogo fisico, attraverso la quale lo studente è chiamato ad affrontare le diverse problematiche disciplinari con metodologie di tipo induttivo, improntate alla pedagogia collaborativa del compito condiviso e del progetto che lo rendono protagonista degli apprendimenti. Per una trattazione più ampia di questo approccio si rimanda alle Linee Guida del primo biennio. Queste metodologie coinvolgono attivamente gli studenti nell’analisi e nella risoluzione di problemi, mobilitano l’insieme delle loro risorse e aiutano a far cogliere l’interdipendenza tra dimensione teorica e dimensione operativa delle conoscenze, fino a costruire dei saperi di tipo professionale.

Viene qua affermato un principio fondamentale: è necessario fare innovazione didattica. Vero che il testo si sbilancia a favore della LIM, cosa che sarà causa di infinite polemiche e resistenze, però bisogna pur affermare che fare didattica significa necessariamente “fare ricerca didattica”. Questo mi pare il senso della dimensione laboratoriale, che non vuol dire che bisogna fare lezione di volta in volta nel laboratorio di informatica o di elettronica o di matematica o  . . . . Piuttosto si tratta di una dimensione nella quale la classe si mette al lavoro su un tema, su un progetto, una realizzazione, un qualcosa che veda docenti e studenti lavorare insieme, collaborare, anche rischiando degli insuccessi, per il raggiungimento di un certo obiettivo. Questo è uno dei punti più delicati, sarà per questo necessario che il Ministero preveda, nelle misure di accompagnamento, anche delle iniziative rivolte alla motivazione e all’aggiornamento professionale dei docenti.

Nel secondo biennio, gli aspetti scientifici, economico-giuridici, tecnologici e tecnici sviluppati dalle discipline d’indirizzo assumono le connotazioni specifiche relative al settore di riferimento in una “dimensione politecnica”. Le discipline, nell’interazione tra le loro peculiarità,promuovono l’acquisizione progressiva delle abilità e competenze professionali. L’adozione di metodologie condivise, l’evidenziazione del comune metodo scientifico di riferimento, l’attenzione ai modelli e ai linguaggi specifici, il ricorso al ‘laboratorio’ come spazio elettivo per condurre esperienze di individuazione e risoluzione di problemi, contribuiscono a far cogliere la concreta interdipendenza tra scienza, tecnologia e tecniche operative in un quadro unitario della conoscenza.(Cfr. Regolamento art. 5, comma 2, lettera e).
Mi sembra qua di percepire l’eco del pensiero di Morin (la “testa ben fatta”) che era stato l’ispiratore di una consistente parte del’operato del ministero ai tempi di Fioroni: personalmente lo vivo favorevolmente.
Per concludere: le “Linee Guida” mi sembrano, correttamente, “volare molto in alto”. Negli ultimi anni l’Istruzione Tecnica in Italia ha perduto gran parte della sua connotazione e identità e di conseguenza ha perso moltissimi iscritti: se non saremo capaci di rilanciarne l’importanza e il ruolo saremo certamente corresponsabili del suo declino.  Mi auguro che ci sia da parte di tutti i componenti del sistema la voglia, la volontà, la forza di fare in modo che al cambiamento istituzionale corrisponda la capacità di innescare un percorso virtuoso. Mi auguro, davvero fortemente, di non dovere assistere al perdurare degli atteggiamenti  capaci di trasformare qualsiasi cosa nell’ennesima “occasione perduta”!

Gli studenti come “Learning Designers”

Ho letto di recente il paper “Students as learning designers: Using social media to scaffold the experience” nel quale si riporta la metodologia adottata da una ricerca che ha posto gli studenti direttamente al centro del processo di progettazione didattica. A patto di avere un efficace supporto da parte degli insegnanti, si è visto come la metodologia sia capace di operare su un versante nel quale la scuola in generale è molto carente: mi riferisco ai processi metacognitivi e in particolare a:

  • gestione del progetto
  • ricerca
  • organizzazione dei materiali e rappresentazione delle conoscenze
  • presentazione
  • riflessione critica
La ricerca non nasconde la coesistenza di vantaggi e svantaggi, in particolare riguardo a quattro temi cardine dell’instructional design mette in evidenza quanto segue:
  • le modalità collaborative risultano avvantaggiate dalle possibili sinergie e dalla suddivisione dei carichi e delle responsabilità; d’altro canto si corre il rischio di problematiche di leadership e di una certa dispersività dei processi. Certamente si rende necessaria una maggiore quantità di tempo;
  • dal punto di vista della pertinenza delle attività sembra molto favorevole il fatto che si incoraggi la connessione tra ipotesi teoriche e messa in pratica. Inoltre si aggiunge concretezza al processo di apprendimento e si genera un certo orgoglio tra gli stessi studenti perchè sentono come cosa personale (in opposizione a “quello che vuole sapere il professore”) quanto si va facendo. Il rovescio della medaglia sta nel rischio di sbagliare del tutto strada e quindi di imboccare percorsi che potenzialmente possono poi rivelarsi come perdita di tempo;
  • il controllo da parte di chi apprende incoraggia la diversità e gli approcci multipli alla ricerca delle soluzioni ai problemi. Incrementa la autostima e consente l’instaurazione di ritmi consoni alle persone. Rischi: risultati imprevisti, perdita degli obiettivi, procrastinazione;
  • preparazione tecnologica: favorisce una avanzata considerazione riguardante i contenuti, i contesti e le applicazioni da adoperare. Di contro può intimidire quanti si sentano in questo meno dotati.

L’analisi dei pro e contro  definisce e mette in risalto il ruolo del docente che va identificato nelle seguenti azioni di scaffolding:

  • generare interesse verso il compito
  • semplificarlo
  • mantenere la ricerca degli obbiettivi
  • evidenziare criticità e discrepanze tra quanto prodotto e la soluzione ideale
  • controllare l’insorgere della frustrazione durante le fasi di problem-solving
  • dimostrare ed esemplificare una versione idealizzata delle azioni da eseguire.

L’attività di ricerca ha inoltre evidenziato le implicazioni derivanti dall’uso degli stri strumenti della rete e in particolare dei social network.

In conclusione la ricerca ha messo in evidenza che:

  • si riscontra un incremento nell’utilizzo del linguaggio della metacognizione e nell’uso e nella condivisione di strategie metacognitive;
  • le dinamiche di aula risultano modificate: il docente viene identificato come guida ma anche come “co-learner”; i pari vengono identificati come co-learners e come fonte di supporto e di consigli;
  • gli studenti hanno sviluppato grandi varietà e diversità di approcci progettuali;
  • il progetto ha fornito ai docenti una opportunità per riflettere sugli aspetti metacognitivi e soprattutto per ripensare il loro approccio al curricolo.

La mostra di Scianna a Palermo

La mostra di Scianna a Palermo

Lim parare

Un momento della presentazione dei lavori dei corsisti.

Sono piuttosto soddisfatto di quanto sta emergendo da un corso “LIM” che sto tenendo ai docenti di un liceo pedagogico di Palermo. Bisogna premettere che l’introduzione di questa tecnologia nella scuola superiore di secondo grado è molto più recente di quanto non sia accaduto per le scuole elementari e medie, tant’è che se si cercano materiali esemplificativi si trovano in maggioranza relativamente a questi ultimi ordini di scuola. Non tanto facile, quindi, condurre un gruppo di docenti tipicamente “disciplinaristi” ad inventare un qualche oggetto didattico da utilizzare con i propri alunni: le difficoltà risiedendo non solo nella mancanza di esperienza, ma anche nella poca frequentazione dell’utilizzo  della pluralità dei linguaggi e delle occasioni di interazione che la Lim mette a disposizione.

Il lavoro è stato organizzato a partire da una scheda di progetto e una scheda di valutazione. Pensando agli alunni delle proprie classi ogni singolo docente ha concepito un semplice progetto per una attività didattica della durata di circa 15 minuti e subito a seguire, nel corso di due incontri (per un totale di 6 ore) durante i quali hanno ricevuto un opportuno tutoraggio sia sul versante tecnico che su quello metodologico, hanno realizzato quanto abbozzato nella scheda di progetto. La scheda di valutazione è stata poi utilizzata da gruppi di docenti (tre per gruppo) soprattutto come stimolo per una analisi ed una riflessione sulla qualità dei lavori prodotti. Questa fase ha richiesto per intero un ulteriore incontro. Oggi infine, sulla base delle indicazioni dei vari gruppi, è stata presentata una selezione dei lavori.

Si è trattato di un momento assai gradevole, sia perchè i lavori presentati hanno mostrato significativi livelli di interesse e di utilizzo del mezzo, sia perchè si è creata una situazione assai rara nella scuola: l’incontro di docenti di classi e discipline diverse che parlano di didattica, che mostrano i lavori fatti, che riflettono collaborativamente sui diversi aspetti del lavoro, da quelli tecnici a quelli metodologici.

E le fotografie

E le fotografie, dal fondo del tempo, stavano a guardarci. Rappresentavano davvero, come aveva scritto nel 1984, “l’arte di dar caccia al volto del presente, com’esso emerge dal futuro ignoto per scivolare nell’imprendibile passato”.

Tratto da Nostro Sud di Fosco Maraini, pag 23