Ho fatto lezione con YouTube!

Direi perfino che è andata bene!  Nonostante il video in questione Part 1 of 3 The Secret Life of the Radio fosse in inglese! L’abbiamo visto a piccoli spezzoni, praticamente separando le singole scene, fermandoci per capire, insieme, quanto era stata appena esposto. Spero sia stato utile per cominciarli ad incuriosire e a motivarli allo studio delle telecomunicazioni. Compiti per casa: elaborare gli appunti della lezione alla luce della lettura, in internet (ma stavolta in italiano), di alcuni documenti sulla storia della invenzione della radio.

Ragazzi contenti, io pure!

Fare scuola al tempo dei barbari

Settimana molto impegnativa iniziata con la giornata dei lavori del Cidi (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti) di Palermo presso l’Hotel Addaura. Non ci si lasci ingannare dal titolo, deliberatamente ispirato al saggio di Baricco, scelto per porre l’accento sulla cosiddetta “mutazione” nella cultura delle nuove generazioni.

E’ stata per me l’occasione di conoscere Berta Martini, docente  e pedagogista presso l’Università di Urbino e di apprezzare il suo molto interessante intervento sulla pedagogia della conoscenza e sulla didattica per competenze, spero di potere approfondire presto le tematiche.

Molto apprezzato e gradito l’intervento di Silvio Vitellaro, delle quali sono disponibili le slide.

Dal canto mio ho avuto l’opportunità di presentare il corso on line che è entrato a far parte dell’offerta formativa del Cidi per il corrente anno scolastico: La Classe nella Rete. Disponibili la locandina e le slide dell’intervento.

Manuale dell’e-learning per i docenti della scuola

Ho  trovato su Twine la notizia che il progetto Taccle – Teachers’ Aids on Creating Content for Learning Environments, ha pubblicato un libro liberamente scaricabile dal titolo “The E-learning Handbook for Classroom Teachers“. Mi sembra un ottimo lavoro, un libro di questo tipo mancava, la sua diffusione potrebbe certamente favorire l’utilizzo a scuola dei diversi strumenti che il web e il pc ci mettono a disposizione per la comunicazione e interazione didattica e formativa.

Traduco e riporto dall’introduzione

Il libro è scritto per gli insegnanti di scuola che vogliono saperne di più sull’e-learning e che vorrebbero sperimentare la produzione di materiali per fare e-learning nelle proprie classi. E’ concepito principalmente per gli insegnanti delle scuole superiori ma certamente potrà essere utile anche ai docenti delle scuole di diverso ordine e grado.

Leggi tutto “Manuale dell’e-learning per i docenti della scuola”

Educare e comunicare: la scuola, le scuole

Ho letto in questi giorni il capitolo “La scuola, le scuole” del libro “Educare e Comunicare” a cura di Alberto Abruzzese e Roberto Maragliano. Capitolo nel quale il curatore, Giovanni Fiorentino, enuclea limiti e difetti del sistema scolastico italiano (ma non solo) a partire dal periodo della prima rivoluzione industriale e la conseguente necessità per le imprese di potere disporre di forza lavoro che fosse almeno alfabetizzata. Il punto di vista storico mi è sembrato assai interessante perchè spiega in modo assai plausibile il formarsi dell’assetto fortemente normativo, gerarchico, centrato sui saperi piuttosto che sugli individui.
Altrettanto interessante l’analisi mediologica che ci mostra come permanga ancora preminente la componente “gutenberghiana” degli insegnamenti praticati nei nostri istituti: la centralità del libro di testo e in generale della parola organizzata in discorso assolutamente lineare, la comunicazione per lo più unidirezionale (uno a molti) del classico assetto della lezione frontale, l’evitare qualsiasi rischio di contaminazione con altri linguaggi e altre medialità, sia quelle dell’epoca audiovisiva e televisiva, sia quelle, più attuali, derivanti dall’uso del computer e dalle modalità di “rete” sempre più presenti e diffuse nelle diverse interazioni, anche formative, cui veniamo tutti sottoposti nella normale quotidianità.
Ne viene fuori il quadro di una scuola ormai chiaramente inadeguata, avulsa dal reale contesto mediatico nel quale la stessa popolazione scolastica è immerso. Una scuola che non produce conoscenza ma che, al più, ne ri-produce gi aspetti più astratti, libreschi, autoreferenziali.

Concordo pienamente sull’analisi, anche quando si dice che gli stessi docenti (sono uno di questi) non sono stati capaci di affrontare personalmente il rischio del cambiamento, di fatto appiattendosi sulla incapacità istituzionale di superare l’assetto gentiliano della scuola italiana.

Meno soddisfacente ho trovato la parte terminale del capitolo, quella della proposizione di una idea di scuola nuova e differente: partendo dalla descrizione dei vantaggi e della opportunità di una didattica costruttivista si finisce col proporre il “laboratorio del silenzio” gestito da un corrispondente e adeguato “insegnante del silenzio”. Ad essere sincero non ne ho capito un granché, probabilmente anche a causa di una mia limitata conoscenza filosofica e pedagogica. Il silenzio (reale, metaforico, virtuale) diventa condizione per riappropriarsi di una diversa sensibilità e della capacità di sentire ed usare una pluri-multi-sensorialità e medialità. Molto profondo e affascinante quanto astratto: pur consapevole della difficoltà di fornire ai docenti indicazioni concrete che possono derivare solo da una attenta considerazione dei singoli casi, da un libro che si pone come “manuale” mi sarei aspettato di trovare qualcosa alla quale potermi ispirare per la didattica nelle mie classi a partire già dal prossimo anno scolastico.

Pensieri di un prof in vacanza

Devo cercare di escogitare qualcosa per motivare maggiormente gli alunni: come fare per cercare di far capire loro che apprendere può anche essere una attività piacevole? Che può essere qualcosa di fondante per la propria personale e intima esistenza?
Dovrei capire, prima, cosa piace loro fare, e, cosa più difficile, perché!

Leggo da “Intelligenza Emotiva” di Goleman della faccenda riguardante “il flusso”, ovvero del piacere che a noi deriva quando riusciamo a compiere qualcosa in stato di flusso. Sarà questa la logica e la base dell’attrazione dei videogiochi? Una situazione “immersiva” nella quale ci si accorge di “funzionare” e agire quasi come spettatori di noi stessi, meravigliati dal miracolo delle nostre stesse capacità? E come usare queste stesse dinamiche nella didattica? Come trasformarle in prassi?

Altra domanda: come suscitare il piacere della scoperta? Cosa ci spinge, ad esempio quando siamo in montagna, a superare la stanchezza per “andare a vedere cosa c’é un pò più in là”? Interrogando me stesso potrei rispondere che si tratta di curiosità, di fascinazione per l’esplorazione e l’incognito. Ma anche della voglia (necessità?) di delimitare un personale territorio, e di portare all’esistenza zone precedentemente ignorate. Ho l’impressione che ai miei alunni tutto ciò possa non importare un fico secco.

Oppure no, forse invece hanno solo bisogno di aver aperto la porta e di un incoraggiamento ad intraprendere la strada; hanno bisogno di seguire un maestro? Dubbio: un maestro non riesce ad essere tale solo quando è nella sua bottega? Possibile fare della propria aula (ancorché virtuale) la propria bottega? E, a questo punto: noi docenti non stavamo diventando “facilitators”? Le nostre abilità di “comunicazione didattica” continuano ad avere un valore preminente?

Mumble mumble . . .

Libro scolastico digitale: qualche riflessione

Colgo l’occasione della visione del video SchoolbookCamp a Fosdinovo – Videointerviste per qualche riflessione sul libro di testo digitale. Premetto che si tratta di un campo per me assolutamente nuovo e che si tratta di riflessioni allo stato “larvale”. Nel video emerge molto chiaramente che la domanda che vien fuori da più parti riguarda la forma del libro digitale, la sua concezione come “oggetto” e, di conseguenza, il ruolo e il posto dell’editoria nella produzione e vendita di questi supporti didattici. Mi sembra di percepire uno sforzo di definizione eccessivo, uno sforzo che rischia fortemente di essere a breve vanificato dai fatti: le forme, i tipi, le dimensioni, gli stili potrebberto essere le più svariate, non credo che oggi ci sia qualcuno capace di definire concretamente questo nuovo tipo di oggetti. Mi viene da pensare alla contemporanea presenza di due tipologie di base: da una parte un qualcosa che somiglia piuttosto da vicino al libro tradizionale, nel senso che si tratta di un insieme di contenuti strutturati e organizzati in modo tale da incoraggiare e assecondare una certa propedeucitità. Che si tratti di un pdf piuttosto che di qualche altro standard poco importa; magari ci staranno dentro contenuti multimediali (ma non incoraggerei troppo questo sviluppo per non mettere in difficoltà i nascenti device basati sul concetto di “inchiostro elettronico”). In ogni caso si tratterà di qualcosa di leggero, possibilmente più economico ed ecologico, aggiornabile con la cadenza più opportuna. Dall’altra parte vedrei la nascita e la distribuzione di produzioni “dal basso”, ovvero di elaborati prodotti da singoli docenti e ricercatori, oppure da elaborati selezionati tra quelli prodotti come lavoro didattico nelle scuole. Si tratterebbe in quesato caso di prodotti gratuiti e poco o niente strutturati, da fruire possibilmente con la guida di un docente o di un tutor. Le due tipologie di prodotto non sarebbero tra loro in concorrenza: ci sarà sempre la necessità di seguire percorsi propedeutici, soprattutto nelle fasi iniziali dello studio di una disciplina. E qui ci sarebbe lo spazio per l’editoria “tradizionale”. D’altro canto, se adotteremo in modo crescente strategie didattiche basate sulla ri-costruzione della conoscenza, in modo proporzionalmente crescente assisteremo allo sviluppo di elaborati e prodotti che, esaurito lo scopo primario (apprendimento mediante elaborazione), andrebbero a collocarsi tra le file dei materiali Creative Commons liberamente consultabili in rete.

Pon per la formazione dei docenti sulla didattica in rete

Ci sto lavorando in vista della scadenza del 15 giugno prossimo. Incollo qui la bozza di lavoro.


Apprendimento e insegnamento con gli strumenti del web 2.0

Azione D.1 – interventi formativi rivolti ai docenti e al personale della scuola, sulle
nuove tecnologie della comunicazione

Corso di formazione centrato su:

  • strumenti didattici reperibili in rete
  • materiali didattici reperibili in rete
  • strategie e metodologie dell’insegnamento in rete
  • strumenti per l’utilizzo della rete in aula

Contenuti

  • Sistemi LMS (Learning Management System) open source
  • Creazione, amministrazione e utilizzo di blog didattici
  • Utilizzo di risorse didattiche da diversi network:
    • Scribd
    • Slideshare
    • YouTube
  • Creazione e utilizzo di Learning Object
  • Utilizzo degli e-book
  • utilizzo della lavagna interattiva

Finalità Leggi tutto “Pon per la formazione dei docenti sulla didattica in rete”

Un vero sollievo: i digital native non esistono

Che soddisfazione poter leggere l’articolo di Antonio Fini Il mito dei nativi digitali! Il concetto mi era sempre rimasto un pò sullo stomaco: insegno costantemente dal 92 in scuole superiori, precisamente tecnici industriali e professionali e questi nativi digitali sinceramente non li ho mai incontrati. Adesso tutta una serie di studi (i riferimenti nel post originale) stanno a dimostrare che si tratta di un falso concetto e ciò tutto sommato mi sembra abbastanza tranquillizzante! Non stiamo allevando una generazione di alieni verso la quale perdiamo progressivamente capacità di comunicare . . . si scopre, piuttosto, che il digital divide risente maggiormente delle differenze culturali e sociali che di quelle generazionali. Queste affermazioni sono supportate da studi e ricerche certamente attendibili.

Assai interessante, nello stesso post, la raccolta di slide dal titolo “La competenza digitale dei digital natives” frutto di un lavoro nell’ambito del progetto Digital Competence Assessment. Mi viene da pensare (sto guardando la slide 20) che il concetto di Competenza Digitale sia stato caricato da un eccessivo portato e da eccessive aspettative, quasi a riassumere un insieme molto più vasto di competenze che, in altri momenti storici, avremmo più genericamente definito “culturali”. Probabilmente queste riflessioni e osservazioni andrebbero viste anche alla luce di quanto afferma Maragliano a proposito della ri-mediazione didattica: se l’apprendimento non avviene al di fuori di un processo comunicativo, allora é ovvio che i media ( dalla scrittura al multimedia interattivo)  svolgono un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento. Dal momento che gran parte della umana conoscenza é ormai veicolata dai mezzi digitali messi a disposizione dalla rete, io credo che si rischi di far coincidere la competenza digitale con l’intero arco delle competenze possibili . . .

The art of learning

Mi ha fatto molto piacere leggere il post Stephen Heppell and Tate Modern: soprattutto l’affermazione

One of his themes was the need to change our learning spaces in schools in order to change the way pupils learn, and he led a fascinating discussion on this.

Da molti anni vado pensando a nuovi modelli di scuola, modelli capaci di rompere la cappa di apatia che incombe sui nostri alunni ogni qual volta si tratti di studiare . . . C’è poco da fare, non li teniamo più, ormai perdiamo i migliori e non riusciamo a recuperare i peggiori. Dovremmo diventare capaci di fare scuola in un modo del tutto diverso dall’attuale andare a scuola, magari buttando via i libri di testo, rompendo i limiti di contenuto e di tempo delle “materie” (orrenda parola), prendendo spunto da un romazo come da un dipinto.

Dovremmo vivere l’apprendimento.

Sul web 3.0

How Web 3.0 Will Work

Howstuffworks è tra i siti che spesso consiglio ai miei alunni per la ricchezza degli argomenti trattati, per il taglio divulgativo ma non banale, per l’approccio didattico ma non pedante.

Da qui leggo l’articolo How Web 3.0 Will Work , col futuro d’obbligo, trattandosi di una proiezione sulla possibile, direi piuttosto probabile, evoluzione del web: di che si tratta? In pochissime parole: il web “1” è stato quello dei contenuti statici, qualcuno, dispregiativamente, diceva anche “brochureware”, un posto cioè dove aziende e privati pubblicano le informazioni senza alcuna possibilità di interazione da parte dei fruitori. Siti cioè solo “da leggere”. Il web “2”, radicalmente diverso, ha visto come elemento fondamentale la produzione dei contenuti da parte degli stessi utenti della rete. Si consideri ad esempio la diffusione dei blog personali, un fenomeno che ha seriamente messo in discussione i tradizionali metodi di formazione della opinione pubblica. O il dilagare dei cosiddetti social-network, Facebook in testa, che consentono a tutti di stare in contatto, scambiare informazioni, creare o negare consenso in modo assai semplice e immediato.

Il web 3.0 potrebbe coincidere, ma ancora non è proprio “imminente”, con il cosiddetto “semantic web” che consentirebbe di fare dei motori di ricerca addirittura degli interpreti del “significato” dei documenti del web. Obiettivo ambizioso ma non impossibile, per una spiegazione delle tecnologia sottostante rimando all’articolo How Semantic Web Works . Concentriamo la nostra attenzione piuttosto sulle conseguenze, sulla utilità di una simile trasformazione.

Sappiamo tutti che le ricerche che possiamo compiere tramite i motori di ricerca sono basate sulle “parole chiave”: se cerchiamo la parola “pesca” troveremo documenti nei quali pesca compare sia per il frutto che l’attività del pescare. Altro esempio: la parola “elettronica” ricorre su siti accademici e scolastici ma anche su cataloghi e offerte di negozi e supermercati. Moltissime parole hanno significati che dipendono dal contesto del discorso e, ad oggi, browser e motori di ricerca non hanno la possibilità di fare una simile distinzione, costringendoci a raffinare le ricerche con accorgimenti vari e comunque moltiplicando i tentativi e dilatando il tempo necessario. Web 3.0 dovrebbe poter superare questi attuali limiti per mezzo dei metatag e delle ontologie sistemi cioè di rappresentazione della conoscenza e, quindi, di disambiguazione dei termini presenti in un documento. In tal modo verrebbe molto più semplice l’estrazione dal web dei contenuti realmente desiderati, necessità tanto più stringente quanto più il web è dilatato, e la connessione con argomenti simili e coerenti.

Molte università e molti centri di ricerca sono al lavoro in questa direzione e qualcosa è già matura per la sperimentazione. Personalmente trovo efficace Twine una sorta di socialnetwork basato sui principi e sui criteri del semantic web: il criterio è simile a quello della aggregazione delle notizie tramite RSS, cosa molto utile ma non selettiva. Su twine i diversi partecipanti pubblicano notizie e riferimenti a documenti del web secondo una precisa griglia di metadatazione e secondo argomenti selezionati chiamati “twines”. Ognuno può creare i suoi ( ad esempio io ne ho creato uno che intitola  Personal Authoring ) e aderire a quanti altri creati da terzi. In tal modo si costituisce una base di conoscenza condivisa basata sulla appartenenza ai diversi filoni di interesse e ai “tag” attribuiti dagli utenti. Inutile aggiungere che non basta una giornata per leggere tutto, ma si ha una certa sicurezza di andare a ritrovare a colpo sicuro una certa informazione che siamo sicuri di avere letto ma non ricordiamo più dove . . .