Ho recentemente letto “Marha Quest” di Doris Lessing, libro che mi è molto piaciuto, ne consiglio senz’altro a tutti la lettura. Voglio qui annotare per me e condividere con tutti la presenza di un brano che descrive mirabilmente un vero e proprio fenomeno di illuminazione, per altro non cercato né perseguito, dalla giovane protagonista. Si tratta di una illuminazione innescata dal contatto diretto con la campagna e con la natura, piuttosto cruda nel suo svolgimento, profondamente essenziale. Al di là della maestria dell’autrice e dalla inusualità del fenomeno, mi ha fatto molto piacere ritrovare qualcosa nella quale profondamente credo, qualcosa che in me ha sempre provocato forti risonanze.
Qui di seguito il brano.
“Ci fu senza dubbio un punto preciso dal quale il processo ebbe inizio. Prima non c’era; poi d’improvviso fu inevitabile, e nulla avrebbe potuto scongiurarlo. Vi fu una lenta integrazione, durante la quale lei e gli animaletti e le erbe ondeggianti, e gli alberi caldi di sole, e i declivi con gli argentei fusti di mais ondeggianti, e la vasta cupola di luce azzurra sul suo capo, e le pietre e le terre sotto i suoi piedi, tutto questo divenne una cosa sola, e fremette e si dissolse in un’unica danza di atomi. Sentì i fiumi invisibili aprirsi dolorosamente il passo nelle sue vene, gonfiarle di un’insopportabile pressione; la sua carne era la terra, la sua crescita una sofferta fermentazione; e gli occhi le diventavano fissi, come l’occhio del sole. Non un secondo di più (se termini temporali facevano al caso suo) sarebbe riuscita a sopportarlo; ma proprio allora, con un improvviso slancio in avanti e fuori di lei, il processo ebbe termine: e quello fu “il momento” impossibile a ricordarsi più tardi. Perché, durante quella frazione di tempo (in realtà, atemporale) Martha ebbe coscienza in modo definitivo della propria piccolezza, della assoluta mancanza d’importanza dell’umanità intera. Nei suoi orecchi v’era uno stridio confuso – le grandi ruote del movimento – e questo stridio non era umano, come il movimento ondeggiante e ininterrotto di un carro di buoi, e la sua voce non era parte di quel suono, ma lei, lei stessa ne era parte. Riluttante, accettava d’esserlo, benché a parole… ma quali parole? Nell’istante in cui spazio e tempo (ma queste sono parole, e se qualcosa sapeva per certo, era che le parole, qui, sono come la voce di un bimbo che pianga nell’uragano) divennero una cosa sola con la sua carne, lei seppe cos’è la futilità; seppe ch’era futile l’idea che aveva di se stessa, del suo posto nel gran caos delle cose. Le si chiedeva di accettare qualcosa di completamente diverso; era come se qualcosa di nuovo domandasse di venire alla luce, ospitato dalla sua carne; come se fosse necessario, e lei dovesse accettare di lasciarsi dissolvere e ricostruire da quella stessa necessità. Ma non durò: la forza desistette, l’abbandonò, ferma in mezzo alla strada, già assorta nel tentativo di ritrovare “il momento”, in modo da poterne ritenere il messaggio proveniente dalla profondità del caos distruttore e creatore. Già la cosa rifluiva, ridiventava nella sua mente un tutto, non più un processo; il ricordo mutava sicché nostalgico era ora il desiderio di Martha di “provare ancora”.
C’era stata una sfida, cui lei s’era sottratta. Ma l’ondata di nostalgia la stizziva: sapeva che era falsa, perché era desiderio di qualcosa mai esistito: un’ “estasi”, in una parola. E non c’era stata estasi, ma solo difficile conoscenza. Era come se uno scarafaggio fosse riuscito per un attimo a cantare. No, doveva esserci un’altra parola per illuminazione.”Estratto di: Lessing, Doris. “Martha Quest.” Feltrinelli (Universale Economica), 2003-05-01. iBooks.
Il materiale potrebbe essere protetto da copyright
.