Leggo di recente di una passione di Sciascia per la Spagna, un coinvolgimento che lo spingeva ad osservare e studiare queste due terre distinte come collegate quasi a costituirne una sola. La cosa mi ha molto colpito perché vengo da un piccolo giro da quelle parti nel quale mi è capitato di sperimentare sensazioni di appartenenza assai vivide. La terra di Estremadura è una sconfinata distesa di sugheri e lecci, vista dall’alto si presenta come un pattern regolare di macchie verdi che spiccano sul giallo del secco. Ospita diverse città storiche patrimonio dell’Unesco e alcuni santuari naturalistici con specie di uccelli altrove scomparse. Eppure non si può dire che la Spagna sia stato un paese attento alla natura, le trasformazioni ambientali sono state pesanti e a tratti catastrofiche (penso a certi tratti di costa mediterranea). Ma in quel territorio la antropizzazione è stata, diremmo oggi, “sostenibile”. La foresta primigenia non esiste più, ma gli alberi non sono affatto scomparsi: diradati, questo sì, potati anche, come nel caso dei lecci, e considerata specie produttiva anche il sughero. Il diradamento è funzionale alla silvicoltura e insieme consente la coltivazione di cereali e l’uso a pascolo. La redditività deve tutt’oggi essere attraente se è vero che per decine di chilometri ho cercato, per motivi squisitamente fotografici, un qualsiasi varco nelle recinzioni che ininterrottamente delimitano le diverse proprietà. Niente da fare: tutto perfettamente recintato e manutenuto.