Educare e comunicare: la scuola, le scuole

Ho letto in questi giorni il capitolo “La scuola, le scuole” del libro “Educare e Comunicare” a cura di Alberto Abruzzese e Roberto Maragliano. Capitolo nel quale il curatore, Giovanni Fiorentino, enuclea limiti e difetti del sistema scolastico italiano (ma non solo) a partire dal periodo della prima rivoluzione industriale e la conseguente necessità per le imprese di potere disporre di forza lavoro che fosse almeno alfabetizzata. Il punto di vista storico mi è sembrato assai interessante perchè spiega in modo assai plausibile il formarsi dell’assetto fortemente normativo, gerarchico, centrato sui saperi piuttosto che sugli individui.
Altrettanto interessante l’analisi mediologica che ci mostra come permanga ancora preminente la componente “gutenberghiana” degli insegnamenti praticati nei nostri istituti: la centralità del libro di testo e in generale della parola organizzata in discorso assolutamente lineare, la comunicazione per lo più unidirezionale (uno a molti) del classico assetto della lezione frontale, l’evitare qualsiasi rischio di contaminazione con altri linguaggi e altre medialità, sia quelle dell’epoca audiovisiva e televisiva, sia quelle, più attuali, derivanti dall’uso del computer e dalle modalità di “rete” sempre più presenti e diffuse nelle diverse interazioni, anche formative, cui veniamo tutti sottoposti nella normale quotidianità.
Ne viene fuori il quadro di una scuola ormai chiaramente inadeguata, avulsa dal reale contesto mediatico nel quale la stessa popolazione scolastica è immerso. Una scuola che non produce conoscenza ma che, al più, ne ri-produce gi aspetti più astratti, libreschi, autoreferenziali.

Concordo pienamente sull’analisi, anche quando si dice che gli stessi docenti (sono uno di questi) non sono stati capaci di affrontare personalmente il rischio del cambiamento, di fatto appiattendosi sulla incapacità istituzionale di superare l’assetto gentiliano della scuola italiana.

Meno soddisfacente ho trovato la parte terminale del capitolo, quella della proposizione di una idea di scuola nuova e differente: partendo dalla descrizione dei vantaggi e della opportunità di una didattica costruttivista si finisce col proporre il “laboratorio del silenzio” gestito da un corrispondente e adeguato “insegnante del silenzio”. Ad essere sincero non ne ho capito un granché, probabilmente anche a causa di una mia limitata conoscenza filosofica e pedagogica. Il silenzio (reale, metaforico, virtuale) diventa condizione per riappropriarsi di una diversa sensibilità e della capacità di sentire ed usare una pluri-multi-sensorialità e medialità. Molto profondo e affascinante quanto astratto: pur consapevole della difficoltà di fornire ai docenti indicazioni concrete che possono derivare solo da una attenta considerazione dei singoli casi, da un libro che si pone come “manuale” mi sarei aspettato di trovare qualcosa alla quale potermi ispirare per la didattica nelle mie classi a partire già dal prossimo anno scolastico.

Pensieri di un prof in vacanza

Devo cercare di escogitare qualcosa per motivare maggiormente gli alunni: come fare per cercare di far capire loro che apprendere può anche essere una attività piacevole? Che può essere qualcosa di fondante per la propria personale e intima esistenza?
Dovrei capire, prima, cosa piace loro fare, e, cosa più difficile, perché!

Leggo da “Intelligenza Emotiva” di Goleman della faccenda riguardante “il flusso”, ovvero del piacere che a noi deriva quando riusciamo a compiere qualcosa in stato di flusso. Sarà questa la logica e la base dell’attrazione dei videogiochi? Una situazione “immersiva” nella quale ci si accorge di “funzionare” e agire quasi come spettatori di noi stessi, meravigliati dal miracolo delle nostre stesse capacità? E come usare queste stesse dinamiche nella didattica? Come trasformarle in prassi?

Altra domanda: come suscitare il piacere della scoperta? Cosa ci spinge, ad esempio quando siamo in montagna, a superare la stanchezza per “andare a vedere cosa c’é un pò più in là”? Interrogando me stesso potrei rispondere che si tratta di curiosità, di fascinazione per l’esplorazione e l’incognito. Ma anche della voglia (necessità?) di delimitare un personale territorio, e di portare all’esistenza zone precedentemente ignorate. Ho l’impressione che ai miei alunni tutto ciò possa non importare un fico secco.

Oppure no, forse invece hanno solo bisogno di aver aperto la porta e di un incoraggiamento ad intraprendere la strada; hanno bisogno di seguire un maestro? Dubbio: un maestro non riesce ad essere tale solo quando è nella sua bottega? Possibile fare della propria aula (ancorché virtuale) la propria bottega? E, a questo punto: noi docenti non stavamo diventando “facilitators”? Le nostre abilità di “comunicazione didattica” continuano ad avere un valore preminente?

Mumble mumble . . .

Spero non sia vero, temo che sia vero

Scrive Panebianco sul Corriere di oggi:

“Neppure per capire i guai della sinistra italiana, del Partito democratico, bastano le risposte generali. Anche qui bisogna tener conto delle specificità. La principale delle quali è che la sinistra italiana paga il conto, oltre che delle difficoltà che l’accomunano ai partiti socialisti europei, anche di un ventennio di rimozioni e trasformismi. La verità è che se Berlusconi non fosse esistito, se non fosse entrato in politica nel 1994, la sinistra italiana se lo sarebbe dovuto inventare. Da quindici anni Berlusconi, con la sua presenza, aiuta la sinistra a non fare i conti con se stessa, con il vuoto in cui è precipitata dopo il crollo del muro di Berlino.”

Google e Facebook parlano persiano

Leggo su Wired.com di inizitive volte a migliorare la comunicazione sul web in lingua persiana con l’esplicito intento di supportare lo sforzo dei blogger e degli attivisti che sostengono Moussavi. Mentre il regime teocratico chiude tutti i canali di comunicazione di cui é capace, Google aggiunge ai suoi tool un servizio di traduzione della lingua persiana,  in modo da dare l’opportunità  di accedere alle informazioni del “mondo esterno” e di fornire versioni automaticamente tradotte dei blog e dei siti persiani. Tra i primi ad usare il servizio il sito di Moussavi. Dal canto suo a Facebook, accortisi del crescente scambio di informazioni sulla questione delle elezioni in Iran, hanno deciso di rendere disponibile una versione di prova interamente in Persiano.

iPhone: cambia la vita?

Ebbene sì, magari non di colpo, magari non istantaneamente, però, esaurita la fase iniziale di download e test delle applicazioni più attraenti, ci troviamo in mano con qualcosa che ci consente qualche vera novità. Premetto che sino al giorno prima di averne uno (regalo di natale di mia moglie) avevo adoperato ma, devo dire, con soddisfazione, telefonini proprio antiquati, ancora con display a cristalli liquidi! Tutte le mie aspettative erano di poter telefonare e mandare sms; camera digitale, mms, e cose del genere non mi hanno mai attratto più di tanto e quindi possedevo esattamente quanto mi serviva. Tutto il resto passava dal pc.

Con iPhone tutto è cambiato. Grazie al wireless casalingo la posta me la leggo sul divano, Facebook lo frequento comodamente sdraiato, il giornale on line lo vado sfogliando nei momenti e nei luoghi più diversi . .  insomma una sensazione di libertà e di comodità mai provata prima. I diversi feed RSS ai quali sono abbonato non li leggevo praticamente mai, adesso é diventata una piacevole abitudine serale, in qualche caso magari a discapito del buon libro a letto. Altra cosa che trovo utilissima è l’applicazione “Instapaper” che consente sia da iPhone che da PC di registrare un qualsiasi documento on line in modo tale da poterlo leggere con comodo offline; registra il testo senza formattazione ( l’aspetto è simile a quello dei feed) e quindi la leggibilità diventa ottima anche su di uno schermo piccolo.

Svantaggi? Certamente scrivere sull’iPhone è più problematico che usare una comoda (e rumorosa) tastiera, il copia e incolla mi manca moltissimo,  ma talvolta l’uso del piccolo, carezzevole, display ne fa una esperienza decisamente intima!

Libro scolastico digitale: qualche riflessione

Colgo l’occasione della visione del video SchoolbookCamp a Fosdinovo – Videointerviste per qualche riflessione sul libro di testo digitale. Premetto che si tratta di un campo per me assolutamente nuovo e che si tratta di riflessioni allo stato “larvale”. Nel video emerge molto chiaramente che la domanda che vien fuori da più parti riguarda la forma del libro digitale, la sua concezione come “oggetto” e, di conseguenza, il ruolo e il posto dell’editoria nella produzione e vendita di questi supporti didattici. Mi sembra di percepire uno sforzo di definizione eccessivo, uno sforzo che rischia fortemente di essere a breve vanificato dai fatti: le forme, i tipi, le dimensioni, gli stili potrebberto essere le più svariate, non credo che oggi ci sia qualcuno capace di definire concretamente questo nuovo tipo di oggetti. Mi viene da pensare alla contemporanea presenza di due tipologie di base: da una parte un qualcosa che somiglia piuttosto da vicino al libro tradizionale, nel senso che si tratta di un insieme di contenuti strutturati e organizzati in modo tale da incoraggiare e assecondare una certa propedeucitità. Che si tratti di un pdf piuttosto che di qualche altro standard poco importa; magari ci staranno dentro contenuti multimediali (ma non incoraggerei troppo questo sviluppo per non mettere in difficoltà i nascenti device basati sul concetto di “inchiostro elettronico”). In ogni caso si tratterà di qualcosa di leggero, possibilmente più economico ed ecologico, aggiornabile con la cadenza più opportuna. Dall’altra parte vedrei la nascita e la distribuzione di produzioni “dal basso”, ovvero di elaborati prodotti da singoli docenti e ricercatori, oppure da elaborati selezionati tra quelli prodotti come lavoro didattico nelle scuole. Si tratterebbe in quesato caso di prodotti gratuiti e poco o niente strutturati, da fruire possibilmente con la guida di un docente o di un tutor. Le due tipologie di prodotto non sarebbero tra loro in concorrenza: ci sarà sempre la necessità di seguire percorsi propedeutici, soprattutto nelle fasi iniziali dello studio di una disciplina. E qui ci sarebbe lo spazio per l’editoria “tradizionale”. D’altro canto, se adotteremo in modo crescente strategie didattiche basate sulla ri-costruzione della conoscenza, in modo proporzionalmente crescente assisteremo allo sviluppo di elaborati e prodotti che, esaurito lo scopo primario (apprendimento mediante elaborazione), andrebbero a collocarsi tra le file dei materiali Creative Commons liberamente consultabili in rete.

Educazione Siberiana

Copertina di Educazione SiberianaMi è dispiaciuto, stanotte, terminare la lettura del libro di Nicolai Lilin: “Educazione Siberiana”, avrei ancora letto volentieri molte pagine. Può un criminale essere definito una “brava persona”? Leggendo il libro sembrerebbe proprio di sì. Anche coloro che non sono disponibili ad arrivare a conclusioni di questo tipo potranno comunque trovare interessante la scoperta di una comunità, quella dei criminali siberiani, dotata di regole di altissimo spessore morale.

Pon per la formazione dei docenti sulla didattica in rete

Ci sto lavorando in vista della scadenza del 15 giugno prossimo. Incollo qui la bozza di lavoro.


Apprendimento e insegnamento con gli strumenti del web 2.0

Azione D.1 – interventi formativi rivolti ai docenti e al personale della scuola, sulle
nuove tecnologie della comunicazione

Corso di formazione centrato su:

  • strumenti didattici reperibili in rete
  • materiali didattici reperibili in rete
  • strategie e metodologie dell’insegnamento in rete
  • strumenti per l’utilizzo della rete in aula

Contenuti

  • Sistemi LMS (Learning Management System) open source
  • Creazione, amministrazione e utilizzo di blog didattici
  • Utilizzo di risorse didattiche da diversi network:
    • Scribd
    • Slideshare
    • YouTube
  • Creazione e utilizzo di Learning Object
  • Utilizzo degli e-book
  • utilizzo della lavagna interattiva

Finalità Leggi tutto “Pon per la formazione dei docenti sulla didattica in rete”

Un vero sollievo: i digital native non esistono

Che soddisfazione poter leggere l’articolo di Antonio Fini Il mito dei nativi digitali! Il concetto mi era sempre rimasto un pò sullo stomaco: insegno costantemente dal 92 in scuole superiori, precisamente tecnici industriali e professionali e questi nativi digitali sinceramente non li ho mai incontrati. Adesso tutta una serie di studi (i riferimenti nel post originale) stanno a dimostrare che si tratta di un falso concetto e ciò tutto sommato mi sembra abbastanza tranquillizzante! Non stiamo allevando una generazione di alieni verso la quale perdiamo progressivamente capacità di comunicare . . . si scopre, piuttosto, che il digital divide risente maggiormente delle differenze culturali e sociali che di quelle generazionali. Queste affermazioni sono supportate da studi e ricerche certamente attendibili.

Assai interessante, nello stesso post, la raccolta di slide dal titolo “La competenza digitale dei digital natives” frutto di un lavoro nell’ambito del progetto Digital Competence Assessment. Mi viene da pensare (sto guardando la slide 20) che il concetto di Competenza Digitale sia stato caricato da un eccessivo portato e da eccessive aspettative, quasi a riassumere un insieme molto più vasto di competenze che, in altri momenti storici, avremmo più genericamente definito “culturali”. Probabilmente queste riflessioni e osservazioni andrebbero viste anche alla luce di quanto afferma Maragliano a proposito della ri-mediazione didattica: se l’apprendimento non avviene al di fuori di un processo comunicativo, allora é ovvio che i media ( dalla scrittura al multimedia interattivo)  svolgono un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento. Dal momento che gran parte della umana conoscenza é ormai veicolata dai mezzi digitali messi a disposizione dalla rete, io credo che si rischi di far coincidere la competenza digitale con l’intero arco delle competenze possibili . . .

Una nuova rivoluzione culturale

Nel periodo a cavallo delle due guerre mondiali i progressi degli studi della Fisica fecero completamente mutare la nostra visione del mondo. Il modello basato sulla meccanica e sulle intuizioni derivanti dalla natura del nostro sistema percettivo venne completamente stravolto dalla relatività e dalla meccanica quantistica. Una vera rivoluzione culturale: per la prima volta si ammetteva che, almeno a livello subatomico, il mondo non é conoscibile in sé oppure che il tempo non passa ovunque con lo stesso ritmo. Quei cambiamenti agirono sconvolgendo assodate certezze e verità, ma anche aprendo la strada ad uno dei più fecondi periodi di sviluppo intellettuale dell’umanità.
La lettura dell’articolo: Tumori e malattie ereditarie ecco le terapie della speranza di UMBERTO VERONESI suggerisce come il periodo storico che stiamo attraversando ci stia sottoponendo a sconvolgimenti culturali della stessa portata, ma questa volta innescati dalle nuove visioni forniteci dagli studi sulla genetica. In particolare questo passaggio:

Il messaggio sconvolgente della decodifica del genoma è infatti che, per l’uomo come per un virus o la mosca, un elefante un filo d’erba, la vita ha lo stesso primo punto di partenza: quella identica struttura del Dna, formata da quattro basi azotate, che si comportano come le quattro lettere (a, c, g, t) di un alfabeto semplicissimo, e che, combinandosi fra loro, scrivono il libro della vita, qualsiasi forma di vita.

da solo scardina alcune bibliche quanto millenarie certezze . . . Siamo quindi di fronte ad un fenomeno capace di portare non solamente grandi progressi nel campo della medicina, ma anche di sottoporci ad una nuova profonda revisione della nostra immagine del mondo. Personalmente ne sono assai lieto.