Ci sono delle creazioni che acquistano in noi un valore particolare: l’altro giorno ho per caso riascoltato “Maggot Brain”, bellissimo, ricavandone delle sensazioni più estese del solito. Gli amanti del rock conoscono bene tutte le sfumature di sentimento ed emozioni che il genere provoca sugli ascoltatori: qui il brano è dominato quasi interamente dallo spettacolare assolo della chitarra elettrica di Eddie Hazel che ci inchioda con una sensazione dolce e insieme straziante. Si, questo suono, quella chitarra, ci colpiscono lasciandoci senza difesa alcuna, rapiti. La mia sensazione è stata quella di trovarmi ad avvertire in un solo colpo l’essenza dell’estetica giovanile degli anni 70. Pace e amore, comunione con la natura, niente barriere e nessuna indifferenza, l’utopia come unico sogno perseguibile. Ascoltando il brano tutto è tornato prepotentemente a galla, tutto il bello creato e concepito da quella cultura. Ed insieme ad esso un amaro, amarissimo senso di lutto per il massacro di quelle istanze compiuto senza pietà nei decenni successivi. L’abbiamo pagata cara, con la fine del sogno hanno avuto il sopravvento l’eroina, l’Aids e il suicidio. Il numero di morti è stato di gran lunga superiore a quello del Vietnam. Lo strazio è intatto, ce lo ricorda il suono prolungato della chitarra, quasi il lamento di un cetaceo sperduto che chiama il branco ormai arrivato all’altro capo del mondo.
Buon ascolto: Maggot Brain