Oggi mi è capitato di leggere parecchio sulla scuola, l’occasione è creata dagli articoli dalla stampa e dalla rete in occasione della presentazione delle nuove “Indicazioni Nazionali” per la scuola. Prendo qui qualche appunto.
Il ministro Fioroni ha invitato Edgar Morin in qualità di consulente. La Repubblica dedica una intera pagina della rubrica “Cultura” ad una intervista col filosofo francese della “complessità “. Non sembra esserci un vero e proprio filo conduttore da parte dell’intevistatore, ma qualche risposta è comunque interessante.
Si capisce, soprattutto, come la scuola non possa bastare per affrontare i problemi della adolescenza e in particolare: <<C’ è un momento tra l’infanzia e l’età adulta, in cui l’adolescente trasgredisce. E’ stato così ai miei tempi con la Resistenza e poi col maggio Sessantotto>>. Questa affermazione mi pare estremamente interessante perchè alcuni episodi considerati comunemente “eroici” o comunque frutto di coscienza e impegno civile e politico vengono qui dati per generati dalla necessità adolescenziale di trasgredire; frutto quindi di un travaglio e di una spinta “interna” agli individui, spinta che trova sfogo e modo di manifestarsi in un validissimo motivo “esterno” (l’invasione dei tedeschi prima, la spinta ideale del 68 poi). Sostanzialmente si tratta di una riproposizione in chiave storico-culturale di un fenomeno ben noto alle popolazioni cosiddette “primitive”, nella cultura delle quali i maschi, prima di potere essere considerati membri “adulti” della tribù, devono attraversare il periodo nel quale sono i “guerrieri” della tribù stessa. Conoscendo le spinte e le tempeste ormonali dei nostri sedicenni, mi sembra una soluzione piuttosto saggia, un’ottima metodologia “formativa” dell’individuo. Le parole di Morin, sebbene provenienti da un ambito sociologico piuttosto che antropologico, potrebbero esserne una conferma.
Altra lettura che voglio annotare è quella dell’intervento di G. Boselli sul sito ScuolaOggi.
Durante la lettura mi è venuta a più riprese voglia di mandare una mail all’autore. Volevo recapitargli una vibrata protesta per uno stile di scrittura assolutamente non adatta al web, ne riporto un piccolo stralcio:
Additare la complessità (iper) vuol dire riavviare la ricomposizione secondo ermeneutica dei saperi classici e l’entrata di quelli “nuovi” e in particolare delle nuove morfologie del sapere che possono servire a intendere le pieghe del mondo di fine millennio, i reticoli multiplanari, i nodi distributivi, le strade senza uscita, gli scarti dell’intenzionalità generale che covano sotto le apparenti regolarità evolutive di un universo divenuto “pluriverso” ipercomplesso. La scuola ha bisogno di inventare (trovare, esser compresa, immaginare) saperi “nuovi” come l’informatica o rinnovati nella loro struttura epistemologica. Di essere una scuola che sappia pervenire a interpretazioni originali del mondo e sappia progettare le forme inevitabilmente irregolari (ma non caotiche o deintenzionalizzate) della didattica che dovranno resistere alle vettrici di piegamento della contemporaneità .
Chiaro vero?
Leggendo bene un certo senso si riesce perfino a trovarlo, ma la cosa veramente chiara è che qui si sta giocando a fare gli intellettuali “profondi” e “complessi”. Il tutto avrebbe come scopo quello di fare una critica preventiva alle nuove indicazioni per la scuola dicendo, nemmeno in modo troppo velato, di non avere fiducia nella prossima tornata delle “indicazioni”. Come se non bastasse, Boselli declina la sua personale ricetta per <<orientare i docenti e attraverso di loro gli studenti, a una intelligenza della complessità >>, ma lo fa frettolosamente e pretenziosamente.