Capitolo finale del testo di Morin nel quale si cerca di risolvere i problemi che ostacolando la riforma del pensiero, ostacolano anche la riforma della scuola.
Quale dunque la soluzione individuata da Morin per spezzare il doppio ciclo paralizzante: da una parte è necessario riformare il pensiero per riformare la scuola; allo stesso tempo occorrerebbe una nuova scuola per generare un nuovo pensiero. E ancora: è necessario riformare la scuola per riformare la società . Ma anche il reciproco è vero: la riforma della scuola parte da una riforma della società .
Di fronte a questi due blocchi Morin non propone soluzioni particolarmente complicate, anzi la sua ricetta, in estrema sintesi, potrebbe essere così espressa: basta cominciare! A sostegno di questa ipotesi Morin porta l’esempio del cambiamento delle università generatosi a partire dalla realtà , a quei tempi molto piccola, della Università di Berlino del XIX secolo. Una buona idea si afferma grazie al suo potere di disseminazione che ne aumenta progressivamente l’efficacia.
Nel caso della scuola occorre dunque un gruppo iniziale di insegnanti che siano capaci di ritrovare il senso della missione. L’insegnamento infatti non può limitarsi ad essere un lavoro da impiegato. Ugualmente non può limitarsi ad un compito lasciato agli esperti. E’ assolutamente necessaria la presenza di una componente già chiaramente individuata da Platone: l’eros, senza la presenza del quale diventa impossibile trasmetttere agli allievi l’amore per il sapere.
I tratti essenziali della missione di insegnante sono quelli individuati nei precedenti capitoli del libro:
– fornire una cultura che sappia affrontare la globalizzazione
– preparare le menti alla comlessitÃ
– preparare le persone ad affrontare le incertezze
– educare alla comprensione umana
– insegnare l’affiliazione alla cittadinanza europea
– insegnare la cittadinanza terrestre, l’unità antropologica, la comunità di destino che ci mette tutti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali.
Morin conclude osservando come una riforma così concepita sarebbe inseparabile da una rigenerazione culturale. Se nel Rinascimento il processo era stato quello della problematizzazione sull’uomo, sulla natura e su Dio, adesso dobbiamo essere pronti a problematizzare il progresso , la tecnica, la scienza, la ragione, in una sorta di rigenerata laicità che potrebbe forse creare le condizioni di un nuovo Rinascimento.
Allo stesso tempo la riforma del pensiero diventa una necessità democratica: formare i cittadini a capire i problemi del loro tempo sottraendoli alla miope e parcellizata espansione << dell’autorità degli “esperti”, degli specialisti di tutti i tipi, che limita progressivamente la competenza dei cittadini>>.