Continua sui giornali italiani la cattiva abitudine di dar spazio ad articoli sulla scuola scritti da persone che di scuola non hanno una specifica esperienza. Questa volta non posso non notare sul Sole 24 Ore Rivoluzionare la scuola – una proposta, titolo che mi suscita subito grandi speranze: finalmente qualcuno che ha capito che bisogna cambiare tutto, ho pensato. Invece la proposta è piuttosto modesta: coinvolgere in qualche modo i dottori di ricerca nella scuola… Detto così è davvero troppo vago: perchè proprio i dottori di ricerca? Si tratterebbe di coinvolgere i dottori di qualsiasi ambito disciplinare? E che c’entrerebbe un dottore in entomologia agraria nella elaborazione di un curricolo con tanto di metodi e strategie didattiche? Quali sarebbero i compiti, quali le modalità di coinvolgimento nelle strutture scolastiche? Le domande possibili sarebbero ancora assai numerose, ma tanto basta ad osservare l’esiguità della proposta.
Mi permetto qui di esortare l’autore dell’articolo ad una frequentazione di una serie di testi e di ambienti di informazione e dibattito di grande spessore, a partire ad esempio da “La testa ben fatta” di Morin, testo ispiratore dell’unica idea di reale cambiamento nella scuola italiana, soprattutto riguardo l’approccio disciplinare, certamente negli oltre venti anni di mio personale servizio ma, temo, anche da molto prima. E poi certamente consiglierei la frequentazione di insegnareonline, la rivista del Cidi – Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti.
3 pensieri riguardo “Dottori di ricerca a scuola (!)”
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Scrive l’autore Armando Massarenti: “L’obiezione principale a questa proposta è che nessuno ha insegnato loro a insegnare. Ma in realtà questa è una carenza generale del nostro sistema”.
E siccome è una carenza generale aggraviamola, ignoriamola.
Come al solito si pensa che la qualità dell’insegnamento si misuri dai contenuti. Immettere in ruolo i dottori di ricerca non contribuisce a migliorare la scuola a meno che la premessa non sia “I docenti sono ignoranti”. Allora alla premessa “I docenti non sanno insegnare l’educazione” consegue che occorre immettere in ruolo i secondini nelle classi ” dello Zen?
Il lavoro del docente è quello di mediare tra la ricerca e il curricolo. E ancora pochi lo sanno (e ancor meno lo fanno).
Siamo all’anno zero. Chi scrive di scuola continua a pensare al sapere formale delle biblioteche e delle aule universitarie. Ancora prevale un’idea trasmissiva del sapere, per la quale le grandi acquisizioni della ricerca accademica devono essere sbriciolate e travasate nella mente dei ragazzi. Balle colossali. A nessuno passa per la testa che apprendere significa affrontare un problema culturale con metodo e linguaggio appropriati. Il sapere va ricostruito non riprodotto. Un problema culturale è sempre un problema che ha a che fare con la vita. Non con i capitoli di un libro. Altro che dottorati. Ci vogliono insegnanti veri.
Sono un insegnante di diritto ed economia nella scuola da 26 anni e sono dottore di ricerca in economia.
Fatta questa premessa, posso affermare che concordo pienamente sulla inutilità della proposta fatta, non solo, aggiungo che paradossalmente la proposta è controproducente oltre che inutile.
Spiego brevemente il perché: la scuola è un luogo dove si insegna il ragionamento di base delle diverse discipline e se tutto va bene si trasmette agli alunni ( e sottolineo alunni) la capacità critica ( e democratica) di discernere consapevolmente le affermazioni che si fanno e che fanno gli altri; mi sembra non poco.
I dottori di ricerca hanno un ruolo decisamente diverso sono ( o dovrebbero essere) soggetti che hanno superato già la fase della consapevolezza critica di base delle affermazioni scientifiche e non che fanno loro e i loro colleghi ed il loro lavoro è teso alla “ricerca” disciplinare e alla scoperta di nuove opportunità del sapere.
Il loro posto è, e deve restare, l’Università. Probabilmente la proposta fatta di “inserirli” nella scuola è figlia di un fallimento del loro ruolo e della mancanza di opportunità di lavoro nelle Università!
Salve.
Italo M. Scrocchia