Nella natura di un’arca c’è, ovviamente, il “contenere”, il trasportare, il “mettere in salvo”. Arca dei Suoni, sito realizzato dalla Unità operativa IX del Centro per il Catalogo della Regione Siciliana, fa certamente questo: raccoglie dei contributi sonori variamente significativi della cultura siciliana, li mette a disposizione, li diffonde, li distribuisce per mezzo del sito stesso, li mette in salvo dall’oblio. Si tratta già di obiettivi ambiziosi e certamente assai meritevoli. Ma Arca dei Suoni va “molto più in là”: ispirandosi da una parte alle più recenti esperienze di “user generated content” presenti in rete, dall’altra alle pratiche più avanzate riconducibili, in ambito didattico, al cosiddetto “apprendimento collaborativo” e in accordo con una serie di scuole, ha sensibilizzato e incoraggiato gli alunni a raccogliere delle testimonianze sonore provenienti dai rispettivi ambienti: racconti di vita degli anziani, descrizioni di antichi lavori, canti, cunti, l’intero panorama delle possibilità è stata registrata dai ragazzi e autonomamente caricata sul sito stesso. L’operazione sembra apparentemente banale e potrebbe essere scambiata per una sorta di scimmiottamento delle ricerche etnoantropologiche. Ma, anche qui, si tratta di molto di più! Senza voler sembrare eccessivamente retorici, tuttavia va detto che si tratta di una delle dinamiche più genuinamente capaci di costruire, di recuperare, una identità culturale e, allo stesso tempo, di storicizzarla in un processo di scoperta di “cose” forse immaginate, certamente percepite come “lontane”, ma che, saldando le vite degli individui personalmente conosciuti agli eventi della “grande storia”, scatenano una autentica curiosità e voglia di conoscenza, un processo di ricerca e di sistematizzazione altrimenti indicabile come “laboratorio di storia”. Una storia ri-costruita piuttosto che sofferta sui libri di testo, un insieme di scoperte, la possibilità di essere protagonisti delle pubblicazioni di un sito web, ce n’è abbastanza per capire che si tratta di una proposta e di una realizzazione (anche se ancora si tratta di un “prototipo”) dalle potenzialità veramente elevate.
Dal punto di vista tecnico c’è poi da osservare che la realizzazione del sito ha privilegiato l’uso di software di tipo “open source” gratuito e liberamente reperibile in rete, cosa che ha garantito la fattibilità a costi praticamente nulli e che ne continua a garantire la aggiornabilità costante nel tempo. La partecipazione è aperta potenzialmente a tutti quelli che ne hanno voglia: basta registrarsi, operazione analoga a quella tante volte compiuta presso le diverse comunità in rete, e chiedere agli amministratori che il proprio account venga promosso ad “autore“. A questo punto si è pronti per caricare file audio che vengono indicizzati da un database insieme ad una serie di informazioni aggiuntive: titolo, nome della persona che ha curato la registrazione, luogo, data, etc, etc. Lo stesso database è lo strumento principale per la diffusione degli stessi brani: appena caricato, un brano è immediatamente fruibile da chiunque nel mondo disponga di una connessione al web. Insieme ai brani sono caricabili anche immagini, video, testi che ne diventano il corredo e ne amplificano l’interesse culturale. Un sistema di georeferenziazione permette poi di esaminare una mappa interattiva che mostra la localizzazione di provenienza dei diversi file audio in archivio. Completano il sito un blog collettivo, un forum, un sistema di download di materiali, un sistema di messagistica tra gli iscritti.
Insomma, questa volta volutamente con retorica, potremmo concludere dicendo che si tratta di una iniziativa rivoluzionaria sia che la si guardi dal punto di vista di un ufficio regionale, sia che l’osservatorio sia quello delle “buone pratiche” didattiche. Arca dei Suoni riesce ad unire e valorizzare il meglio di due mondi, quello della scuola e quello della burocrazia, generandone una nuova alleanza in grazia della quale i vantaggi ricadono sulla comunità e sugli individui: tutti noi beneficiamo dell’archivio e della raccolta, tutti i partecipanti vivono una esperienza con grandi e significative ricadute sul piano della formazione personale.
Bello!
Categoria: Scuola
Palermo Google Technology User Group
Certe volte si scopre di essere più aggiornati su eventi lontani ai quali non si può partecipare che ad iniziative che avvengono nel proprio territorio, nella propria città. E’ il caso del GTUG (Google Technology User Group) di Palermo, una iniziativa che ha organizzato già tre incontri e che si rivolge soprattutto ai giovani anche come strumento di crescita professionale e come moltiplicatore di opportunità lavorative.
Personalmente ritengo utilissimi, sia in ambito professionale che in quello personale, gli strumenti che google mette gratuitamente a disposizione; parlarne significherebbe andare ben oltre i limiti d iun articolo di un blog, ma va detto che saperli bene adoperare o, ancora meglio, saperli utilizzare per sviluppare nuove applicazioni e nuovi “mashup” potrebbe aprire la strada a molti dei nostri diplomati in informatica.
Alcuni link per meglio conoscere l’iniziativa:
Al via Sloop2Desc
Mercoledì 24 febbraio ha avuto luogo il workshop iniziale del progetto Sloop2desc. Il progetto consiste nella formazione di una serie di insegnanti sulle tematiche relative all’apprendimento in rete, alla condivisione di OER (open educational resource), alla realizzazione di LO (learning object), unitamente ad una attenzione e proposizione dei contenuti Eucip relativi alle professioni informatiche del settore IT e alla adozione dello EQF (European Qualification Framework) per la certificazione delle competenze.
Come si può facilmente intuire si tratta di un progetto piuttosto ambizioso (vedi i dettagli su sloopproject.eu ) e infatti i partecipanti sono in maggioranza docenti con esperienze nel settore. A questa fase ne seguirà una seconda, durante la quale i docenti appena formatisi diventeranno essi stessi tutor e formatori per una seconda edizione, più allargata, dell’iniziativa. Si prevede di formare in questa prima fase una cinquantina di docenti per arrivare, nella seconda, ad un totale di circa quattrocento.
Incorporo qui di seguito lo slidecast della presentazione che ho tenuto nella medesima occasione: si tratta di un prodotto “live” (con tutte le imprecisioni e i piccoli inceppamenti del caso), con audio registrato con l’iPhone e montato direttamente su slideshare.
Fondamentale per capire il progetto la presentazione di Pierfranco Ravotto
Creative Collaboration and Immersive Engagement: The Hyperlinked Campus
Ho visto ieri un interessantissima presentazione di Michael Stephens, Assistant Professor, Graduate School of Library and Information Science, Dominican University ove si mostra quanto e come tutti gli strumenti del cosiddetto web 2.0, unitamente ai dispositivi “mobile”, contribuiscano a determinare il clima e le metodologie didattiche a livello di studi universitari. Il video è accessibile a questo link: Creative Collaboration and Immersive Engagement: The Hyperlinked Campus
Volendo sintetizzare al massimo, questa la slide forse più significativa:
Che cos’è che non va?
Grazie ad una segnalazione del Cidi di Palermo ho potuto leggere un interessante e gradevole articolo pubblicato sul numero 1 de “Il Giornale di Fisica” del 1956 (fatidica data, coincidente, ahimè, col mio anno di nascita). Scritto dal professore Enrico Persico, già collaboratore di Fermi nonchè autore di numerosi testi sulla meccanica quantistica, si sofferma su alcuni aspetti di quelle che oggi definiremmo le performance dei nostri alunni durante un esame universitario.
Le osservazioni riguardano un aspetto piuttosto contraddittorio: la maggior parte degli studenti ritiene difficile la trattazione matematica dei vari fenomeni fisici, quando invece, dovendo rispondere a delle domande di esame, si trova con essa molto più a suo agio che a spiegare la natura del fenomeno stesso e le eventuali applicazioni pratiche e tecnologiche.
“Mi dica almeno qualcosa sulle onde elettromagnetiche”.
La candidata, che poco fa non aveva saputo dire perchè i fili della
luce elettrica sono rivestiti di isolante, appare ora visibilmente solle-
vata e comincia ad allineare sulla lavagna in bell’ordine le equazio-
ni di Maxwell nella loro elegante forma vettoriale. Finalmente una
domanda facile!
A scuola di autolavaggio
A proposito di lavoretti estivi, un ragazzo di 16 anni, un alunno della mia scuola, mi ha oggi raccontato di aver fatto, la scorsa estate, il lavatore di automobili. La storiella continua a frullarmi per la testa e a suggerirmi alcune considerazioni.
L’impegno lavorativo di questo ragazzo era stato fissato, dal suo datore, per un orario dalle 7,30 alle 13, con pausa pranzo sino alle 15, e poi ancora sino alle 19. Almeno nove ore giornaliere quindi per 6 giorni e mezzo (domenica mezzo orario, lunedì mattina libero). A fronte di tale impegno la paga corrisposta è stata di 25 euro al giorno (!)
Il ragazzo era soddisfatto! “Per una persona che non deve pagare la casa e non ha spese familiari, 600 euro al mese non sono male . . .” mi ha detto. Dal suo punto di vista si trattava di un trattamento equo che gli ha consentito di pagarsi le spese del finesettimana.
Mi ha colpito la valutazione non economica del suo impegno e del suo tempo. La sua paga giornaliera corrisponde infatti al compenso per il lavaggio di una sola auto (sotto casa mia pago 24 euro per un lavaggio completo), ed è da supporre che la sua produttività non dovesse essere inferiore ad una auto all’ora. Otto noni dell’incasso andavano quindi al suo datore di lavoro senza che questo costituisse motivo per una minima rivendicazione lontanamente sindacale o salariale.
Si tratta di meno di 3 euro l’ora, senza contratto, senza contributi, senza previdenza. Ovvero meno della metà di quanto in famiglia si danno al collaboratore familiare extracomunitario al quale si pagano – giustamente – anche i contributi.
Tutto ciò non cessa di farmi riflettere . . .
Didattica per problemi
Da “Formare ai Saperi” riporto testualmente:
Operare didatticamente per problemi impone, allora, di concepire l’attività della classe come l’attività di una “microsocietà scientifica” in cui gli allievi, a partire da ciò che sanno e dai mezzi che hanno a disposizione, cercano di acquisire una conoscenza che è nuova per loro. Il sapere, in quanto didatticamente trasposto, non è autentico, ma lo è (o dovrebbe esserlo) il lavoro intellettuale che essi mettono in campo per acquisirlo.
Trovo questa affermazione molto stimolante ed è una vera soddisfazione, per un docente, poter concepire una modalità così elevata dell’operare scolastico. Fa venire voglia di approfondire il discorso e, subito, di cercare una efficace messa in opera.
Web semantico cercasi disperatamente
Esperienza assolutamente esemplificativa! Non ho ancora finito di caricare su Youtube un video in due parti sulla soluzione delle reti elettriche in alternata. E’ un argomento che mi serve per le quinte classi, un classico dell’elettrotecnica e dell’elettronica. Bene, da un controllo sulla prima parte tutto ok, il video si vede bene ma . . . i video correlati, quelli cioè che vengono proposti accanto e in aggiunta a quello principale visualizzato, sono tutti sportivi! Anzi, calcistici: sono video di goal, di “reti” per l’appunto!
Ho provveduto a togliere la parola “reti” dalle parole chiave e dal titolo, spero entro domani di vedere correlazioni con video di argomenti più consoni!
Tornare ad essere studenti
Trovo molto denso di significato e foriero di utili riflessioni l’intervento
Teaching How to Learn
by Konrad Glogowski
Viene affrontato il tema dell’inserimento delle tecnologie nelle attività delle classi, sottolinenando come non sia possibile una “magia” relativamente all’apprendimento dei nostri alunni:il solo e semplice utilizzo in ambito scolastico non è – ovviamente – sufficiente a garantire il successo formativo.
Sul fatto che le tecnologie a scuola debbano essere usate non può sussistere dubbio: sono già usate dai nostri alunni in altri contesti; compito della scuola è fare in modo che questo utilizzo diventi corretto, fruttuoso, utile per la formazione dell’individuo e delle sue capacità di apprendere e autonomamente scegliere nel corso della vita.
Il grande interrogativo diventa allora non “se” utilizzare le tecnologie nelle classi, ma “come” deve essere questo utilizzo.
Nell’ultima parte dell’intervento Glokowsky afferma: Leggi tutto “Tornare ad essere studenti”
Impossibile valutare gli insegnanti?
Nell’intervento Perché non si arriverà a valutare gli insegnanti, Gianni Gandola ci fa notare come, dalle proposte di Berlinguer alle più recenti di Aprea, siano esistite, e continuino tuttore a sussistere, nella scuola, fortissime opposizioni a trovare un qualche sistema che possa premiare, tra i docenti, i capaci e i meritevoli. L’analisi mi sembra del tutto condivisibile e particolarmente apprezzabile l’affermazione che la complessità non può diventare un alibi:
Abbiamo insomma la netta impressione che dietro le affermazioni secondo cui il sistema scolastico è una realtà complessa, la valutazione delle competenze è una questione complessa e per nulla semplice (verissimo), ecc. in realtà ci sia la tendenza (talvolta anche da parte sindacale) a lasciare le cose come stanno. Siccome valutare il “merito” è difficile allora non se ne fa nulla, fino a quando non si trova la soluzione perfetta. Cioè mai.
Sulla conclusione dell’intervento sono meno d’accordo, mi sembra davvero amara e distruttiva . . .
La mia personale e insignificante sensazione è che si possa cambiare i termini della questione e cercare dei sistemi di premio delle attività e dei progetti. Lasciamo stare le distinzioni tra bravi e meno bravi, all’interno delle comunità professionali sono sempre odiose e cerchiamo di premiare fatti e azioni. Se io quest’anno farò un’attività didattica che mi ha impegnato e che è stata utile ai miei alunni, sarà opportuno gratificarmi. Se, nel prossimo anno scolastico il mio impegno sarà minore, mi limiterò a percepire lo stipendio. In tal modo tutti avrebbero la possibilità di accedere a delle incentivazioni, ma non a trasformarle in diritto perpetuo, ovvero in un qualcosa di discriminante tra docente e docente. La pensavo così anche ai tempi della proposta del cosiddetto “concorsone”.
Rimane aperta, naturalmente, la questione relativa alla valutazione delle attività ammesse a premio. Una possibilità da prendere in considerazione sarebbe mutuabile dal sistema americano di assegnazione dei fondi ai progetti di ricerca nelle università: i diversi ricercatori presentano delle proposte che vengono valutate da una moltitudine di commisioni (panel) i cui membri sono scelti tra personaggi di indiscussa competenza e valore scientifico. Per ogni progetto viene calcolato un punteggio e i fondi disponibili assegnati secondo graduatoria. Il sistema è descritto efficacemente da Antonio Scarpa, sovrintendente alla distribuzione dei fondi per la ricerca del Center for Scientific Review (Csr) dei National Institutes of Health (Nih), in una intervista tuttora fruibile sul sito di radio 3. Non sarà perfetto, ma sembra proprio molto convincente sia dal punto di vista della equità delle valutazioni, sia da quello del costo (basso) dell’intero sistema.