Devo cercare di escogitare qualcosa per motivare maggiormente gli alunni: come fare per cercare di far capire loro che apprendere può anche essere una attività piacevole? Che può essere qualcosa di fondante per la propria personale e intima esistenza?
Dovrei capire, prima, cosa piace loro fare, e, cosa più difficile, perché!
Leggo da “Intelligenza Emotiva” di Goleman della faccenda riguardante “il flusso”, ovvero del piacere che a noi deriva quando riusciamo a compiere qualcosa in stato di flusso. Sarà questa la logica e la base dell’attrazione dei videogiochi? Una situazione “immersiva” nella quale ci si accorge di “funzionare” e agire quasi come spettatori di noi stessi, meravigliati dal miracolo delle nostre stesse capacità? E come usare queste stesse dinamiche nella didattica? Come trasformarle in prassi?
Altra domanda: come suscitare il piacere della scoperta? Cosa ci spinge, ad esempio quando siamo in montagna, a superare la stanchezza per “andare a vedere cosa c’é un pò più in là”? Interrogando me stesso potrei rispondere che si tratta di curiosità, di fascinazione per l’esplorazione e l’incognito. Ma anche della voglia (necessità?) di delimitare un personale territorio, e di portare all’esistenza zone precedentemente ignorate. Ho l’impressione che ai miei alunni tutto ciò possa non importare un fico secco.
Oppure no, forse invece hanno solo bisogno di aver aperto la porta e di un incoraggiamento ad intraprendere la strada; hanno bisogno di seguire un maestro? Dubbio: un maestro non riesce ad essere tale solo quando è nella sua bottega? Possibile fare della propria aula (ancorché virtuale) la propria bottega? E, a questo punto: noi docenti non stavamo diventando “facilitators”? Le nostre abilità di “comunicazione didattica” continuano ad avere un valore preminente?
Mumble mumble . . .