Di ritorno da Parigi, ho qualche ora di attesa a Fiumicino, provo a riordinare le idee di un weekend interamente dedicato alla fotografia.
Cominciamo da Paris Photo, 169 gallerie da 35 paesi rappresentano i migliori fotografi “fine art” del mondo. Fine art sta per fotografia artistica, non (necessariamente) legata al mondo dell’informazione e della documentazione. Si tratta di una vera e propria fiera con tanto di marea umana che pascola senza molto capire e riuscire ad apprezzare. Ed in effetti apprezzare è difficile se dappertutto ricevi spintoni e devi far fatica per guardare un’opera senza una qualsiasi testa in mezzo. Tant’è, non so se i galleristi siano tanto contenti di una tale affluenza, i loro clienti sono persone di altra natura, diciamo meno “turistica”.
Per un bel pezzo mi sono quindo sentito piuttosto a disagio non riuscendo a godermi nulla di quanto esposto. Almeno sino a quando non ho deciso che dovevo essere molto più spregiudicato e politicamente scorretto, ho capito che dovevo assecondare il mio momentaneo arbitrio, trascurando quanto (in quel momento) non poteva interessarmi (per favore, basta con Irvine Penn e tanta, anche se importantissima,fotografia storica), ho capito che dovevo essere disincantato e affidarmi brutalmente alla sensazione immediata. E ho svoltato, per così dire, scoprendo che mi piacevano più di tutti i fotografi contemporanei giapponesi e coreani con opere vibranti dalla sensibilità estrema ed estremamente differente da quella occidentale. Ho preso appunto per ulteriori approfondimenti, almeno qualche libro vorrei riuscire a comprarlo.
Nella stessa giornata mi sono spostato dalla zona “commerciale” a quella culturale del Mois de la Photo e sono andato a Jeu de Paume, per la mostra di Garry Winogrand. Bella e interessante mostra, molto ben curata, senza dubbio, ma si tratta di un genere fotografico ormai molto noto il cui interesse probabilmente rimane fondamentalmente storico.
Ieri, sabato, sono andato alla Mep, Maison Europeenne de la Photographie, a vedere principalmente la mostra di Tim Parchicov, “Suspense” e “Faux Horizons” di Alberto Garcia Alix. La prima è allestita in una sala buia dalle pareti scure. Le immagini sono stampate si supporto trasparente e retroilluminate. Suggestiva ma tuttosommato “perdibile”.
Falsi Orizzonti, dello spagnolo, è invece assai interessante anche se inevitabilmente risente di una certa dolorosità cattolica e di una sorta di machismo futurista. L’ho trovata molto stimolante.
Nel pomeriggio al museo Carnavalet per la raccolta di Michael Kenna su Parigi. Qui l’incanto è purissimo e assoluto, atmosfere delicate e sospese ma non desolate e rarefatte, una capacità di trattare anche temi classicissimi come i ponti sulla Senna in chiave sempre intrigante e mai banale, mai lasciandosi tentare dal “meraviglioso” o dal “bel paesaggio”. Beh, sulle qualità della fotografia di Kenna non ho certo bisogno di dilungarmi. Unico cruccio l’atmosfera rumorosa e poco ripettosa, cafonismo da gruppo turistico, cosa ben diversa dalla prima esposizione di Kenna che avevo visto qualche anno fa alla Biblioteque Nationale in una atmosfera praticamente mistica di silenzioso raccoglimento. Infine a Saint Germain, le gallerie più numerose dei panifici, che ospita per lo più autori della sezione “Off”.
Ritorno alla base col velib (la bici comunale in affitto) con tanto di passeggiata su un lungo senna al crepuscolo 🙂
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