Crescita delle analfabetizzazioni

Si, uso deliberatamente il plurale: al crescere dei mezzi e delle opportunità di comunicazione fa riscontro la crescita delle possibilità di analfabetizzazione. La riflessione nasce dalla frequentazione del forum del corso “e-book” che sto frequentando: una frequentante scrive:

Rispetto al rapporto tra media mi viene in mente un dato emerso dall’Ottavo Rapporto Censis sulla Comunicazione “I media tra crisi e metamorfosi” edito da Franco Angeli lo scorso dicembre 2009.

Si comincia a parlare di Press Divide come “questo nuovo divario tra quanti contemplano nelle proprie diete i media a stampa e quanti non li hanno ancora o non li hanno più” (p. 108)

Si dice nel Rapporto che gli italiani che nel 2009 hanno superato la soglia del digital divide sono il 48,7% del totale, comprendendo anche quanti hanno un rapporto occasionale con la rete: molto meglio del 29% del 2006, ma sempre meno della metà della popolazione complessiva. Il secondo campanello d’allarme riguarda il ruolo sempre più marginale dei media a stampa, fenomeno che si può indicare come press divide. Le persone estranee all’uso dei mezzi a stampa sono aumentate dal 33,9% del 2006 al 39,3% nel 2009 (+5,4%). Quindi, più della metà della popolazione italiana si colloca al di sotto della soglia del digital divide, più di un terzo al di sotto della soglia del press divide, più di un quarto non conosce alternative alla televisione.

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Questa la mia replica:

Interessanti osservazioni. Mi hanno fatto pensare che la moltiplicazione dei media, delle possibilità di scambio e di comunicazione, sia causa anche della moltiplicazione dei possibili analfabetismi. E forse dobbiamo pensare che sia naturale così: forse tutti noi siamo o saremo più o meno analfabeti relativamente a qualche “medium”. Nel mio caso, ad esempio, pur essendo davanti ad un computer buona parte della mia giornata, non riesco, non ne ho nè la voglia nè la possibilità, a frequentare gli ambienti tipo “second life”. In questo senso vivo sulla mia pelle uno specifico “digital divide” con quanti lo frequentano e ancor di più con quanti sono capaci di pensarne un utilizzo in campo didattico.
Del resto non è solo nei settori mediatici che questo accade! Prendendomi ancora a riferimento: dalla mia vita sono rimaste, e credo che ormai lo rimarranno per sempre, escluse attività come lo sci da discesa o l’equitazione. Esclusione del resto che vivo con la più assoluta serenità, ma che certamente costituiscono anch’esse una sorta di “divide”.

Che cos’è che non va?

Grazie ad una segnalazione del Cidi di Palermo ho potuto leggere un interessante e gradevole articolo pubblicato sul numero 1 de “Il Giornale di Fisica” del 1956 (fatidica data, coincidente, ahimè, col mio anno di nascita). Scritto dal professore Enrico Persico, già collaboratore di Fermi nonchè autore di numerosi testi sulla meccanica quantistica, si sofferma su alcuni aspetti di quelle che oggi definiremmo le performance dei nostri alunni  durante un esame universitario.

Le osservazioni riguardano un aspetto piuttosto contraddittorio: la maggior parte degli studenti ritiene difficile la trattazione matematica dei vari fenomeni fisici, quando invece, dovendo rispondere a delle domande di esame, si trova con essa molto più a suo agio che a spiegare la natura del fenomeno stesso e le eventuali applicazioni pratiche e tecnologiche.

“Mi dica almeno qualcosa sulle onde elettromagnetiche”.
La candidata, che poco fa non aveva saputo dire perchè i fili della
luce elettrica sono rivestiti di isolante, appare ora visibilmente solle-
vata e comincia ad allineare sulla lavagna in bell’ordine le equazio-
ni di Maxwell nella loro elegante forma vettoriale. Finalmente una
domanda facile!

…. Leggi tutto “Che cos’è che non va?”

DreamingPalermo

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Ci sono momenti nei quali gli eventi, le tante storie di vita, i fatti riportati come cronaca, diventano “la storia”, o almeno parte della storia, di una città. Ci sono persone che hanno questo dono: raccogliere le tante componenti, i materiali che le documentano e farsi mezzo e strumento di questa trasformazione.

E’ quanto hanno fatto Mario Bellone e Valeria Ferrante con DreamingPalermo, documentario che ricostruisce le vicende legate alla cultura musicale della Palermo degli anni 50 e 60. L’orizzonte temporale va dal dopoguerra al famoso festival Palermo Pop 70, evento al quale, avendo da poco compiuto 14 anni, i miei genitori non mi permisero di partecipare. Vedere DreamingPalermo ha quindi avuto per me anche il senso di “recupero” di una esperienza giovanile importante per le generazioni subito precedenti la mia.

Il documentario, frutto di un’opera monumentale di ricerca, è molto ben fatto, ma non è di questo che voglio parlare, quanto, piuttosto, della domanda che mi frulla per la testa da un paio d’ore: PalermoDreaming, tra le altre cose, è anche una dichiarazione di amore per questa città. Dal momento che condivido e  mi ci ritrovo in pieno, mi domando: com’è possibile? Com’è possibile continuare ad amare una città che ti espone a folli comportamenti automobilistici, concentrazioni di gas di scarico da immediato mal di gola, cumuli di immondizia che persino nelle strade più eleganti superano il primo piano, sindaci e amministratori palazzinari e in odor (quando va bene) di mafia? Com’è possibile tollerare la sistematica trasformazione delle tante opportunità in altrettante occasioni perdute? Forse per adesione al celebre “this land is our land . .  di Guthriana memoria?  O forse perchè, sia pure di rado, qualcosa, come il documentario visto stasera, ci restituisce un pizzico di orgoglio e di dignità.

Di questo ne sono veramente grato agli autori.

Didattica per problemi

Da “Formare ai Saperi” riporto testualmente:

Operare didatticamente per problemi impone, allora, di concepire l’attività della classe come l’attività di una “microsocietà scientifica” in cui gli allievi, a partire da ciò che sanno e dai mezzi che hanno a disposizione, cercano di acquisire una conoscenza che è nuova per loro. Il sapere, in quanto didatticamente trasposto, non è autentico, ma lo è (o dovrebbe esserlo) il lavoro intellettuale che essi mettono in campo per acquisirlo.

Trovo questa affermazione molto stimolante ed è una vera soddisfazione, per un docente, poter concepire una modalità così elevata dell’operare scolastico. Fa venire voglia di approfondire il discorso e, subito, di cercare una efficace messa in opera.

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Poutpourri Trimestrale

Ovvero una nuova rivista di fotografia creata a Palermo! Quando l’ho vista, sui banchi della mia edicola preferita l’ho comprata subito. Il suo creatore, Flavio Vicari, l’ho conosciuto tramite flickr e soprattutto tramite la sua instancabile attività di propositore di eventi legati al mondo della fotografia. Ebbene devo dire a Flavio e, naturalmente, agli altri collaboratori alla realizzazione: bravo, bravo, bravo! Non deve essere stato facile. Chi vive a Palermo sa quanto sia difficile venir fuori con una qualche attività: tutto e tutti sembrano congiurare per non fartela fare, per fermarti. Questa “cosa” , nata prima sul web, e molto rapidamente arrivata alla carta stampata, si è invece concretizzata: onore al merito.

Passo adesso alle impressioni dalla lettura.

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Biennale delle immagini del mondo

Photoquai - 2eme biennale des imades du monde


Ho avuto l’opportunità, in quest’ultimo finesettimana, di visitare alcune delle esposizioni fotografiche nell’ambito di Photoquai. La manifestazione, non senza una certa tutta francese enfasi, ha come sottotitolo 2me biennale des images du monde, e comprende opere di 50 fotografi che vivono e lavorano nel mondo “non occidentale”: medioriente, africa, oceania, america latina. Per maggiori dettagli questo il link alla pagina di presentazione. Come il titolo può forse far intendere si tratta di una delle manifestazioni culturali promosse dal Museo del Quai Branly, il cosiddetto “museo dell’uomo”, che espone reperti delle culture cosiddette “primitive” nel senso che si tratta di manufatti non contaminati dalla cultura occidentale. Val sicuramente la pena di una (e anche più d’una) visita!
Photoquai 2009 è centrato su due esposizioni centrali, una ospitata nelle sale del museo, “165 anni di fotografia iraniana”, la seconda all’aperto, direttamente sulla banchina della Senna antistante il museo. Delle due la seconda è certamente più interessante sul piano fotografico, anche se mi sarei aspettato di trovare delle modalità espressive più originali, peculiari e caratteristiche dei paesi e artisti di provenienza. Tutto sommato, mi par di capire, il linguaggio fotografico è quello che è, quello che già conosciamo e pratichiamo “all’occidentale” e non mi pare che questi fotografi “non occidentali” riescano poi a scostarsene sensibilmente. “165 anni di fotografia iraniana” è interessante più che altro sul piano storico: si va dalle prime riprese fotografiche di metà ottocento alle foto della rivoluzione khomeinista, passando dalla guerra Iran-Irak, per arrivare alle sperimentazioni attuali. Interessante, ma appare chiaramente come una vera e propria “scuola” di fotografia iraniana non abbia ancora avuto modo di formarsi.

Delle tante altre esposizioni correlate a quella principale ho potuto poi vedere solamente Portraits croisés, al Pavillon des sessions del Louvre, ma, sinceramente, non vale la pena e la bellissima retrospettiva di Michael Kenna alla Bibliothèque nationale de France.

Tornare ad essere studenti

Trovo molto denso di significato e foriero di utili riflessioni l’intervento

Teaching How to Learn

by Konrad Glogowski

Viene affrontato il tema dell’inserimento delle tecnologie nelle attività delle classi, sottolinenando come non sia possibile una “magia” relativamente all’apprendimento dei nostri alunni:il solo e semplice utilizzo in ambito scolastico non è – ovviamente – sufficiente a garantire il successo formativo.

Sul fatto che le tecnologie a scuola debbano essere usate non può sussistere dubbio: sono già usate dai nostri alunni in altri contesti; compito della scuola è fare in modo che questo utilizzo diventi corretto, fruttuoso, utile per la formazione dell’individuo e delle sue capacità di apprendere e autonomamente scegliere nel corso della vita.

Il grande interrogativo diventa allora non “se” utilizzare le tecnologie nelle classi, ma “come” deve essere questo utilizzo.

Nell’ultima parte dell’intervento Glokowsky afferma: Leggi tutto “Tornare ad essere studenti”

Baricco, Omero, Iliade

Omero, IliadeLa lettura più significativa della mia estate è stata “Omero, Iliade” di Alessandro Baricco, una riduzione dell’originale concepita per una lettura in pubblico ma che regge perfettamente anche ad una versione in stampa. I criteri sono stati: mai operare una sintesi, semmai solamente dei tagli per snellire alcuni periodi troppo lunghi e complessi: in tal modo il linguaggio  non è alterato rispetto alla traduzione di Maria Grazia Ciani. I capitoli riguardanti le apparizioni degli dei sono stati totalmente eliminati, col risultato di evidenziare una straordinaria natura “laica” del racconto e di scoprire che non sono essenziali alla comprensione della successione degli avvenimenti. Una ulteriore modifica è consistita nella trasformazione del testo in “soggettiva”: eliminata cioè la narrazione in terza persona, ogni canto è “raccontato” da uno dei protagonisti, di volta in volta, Ettore, Achille, Agamennone, Priamo… in tal modo si è favorito il processo di immedesimazione.
Il risultato a mio parere è eccellente: la lettura è gradevole e interessante e certamente consigliabile e godibile anche ai non “addetti ai lavori”. Paura, orgoglio, ira, luccicare delle armi, clangore degli scontri ci investono in tutta la loro vivezza, con tutta la forza degli avvenimenti che trasformano l’uomo in eroe.

Una curiosità: avevo “tifato” per i greci, ai tempi della scuola; adesso tutto il mio favore andava ai troiani!

Volgarizzazione della rete

Sono veramente dispiaciuto di leggere ( http://www.catepol.net/2009/08/03/facebook-la-gente-e-fuori-sappiatelo-sono-stata-nominata-taggata-accusata-telefonatadiffamata/ ) quanto sta accadendo a Caterina Policaro su Facebook. Tutta la mia solidarietà!
L’occasione è buona per qualche riflessione sulle trasformazioni della rete, ormai decisamente diventata strumento di massa e quindi ospite di dinamiche differenti da quelle che avevamo sin qui conosciuto nella veste di “pionieri” (illuminante il post “ Quando i colonizzatori arrivano prima dei nativi: alcune considerazioni sull’evoluzione della popolazione del web, dal mito della frontiera alla metafora del villaggio turistico”
di Davide Mana).
Il processo ha inizio, per quanto mi è dato capire attraverso l’osservazione della popolazione scolastica superiore, dalla necessità di affermare l’adsl sul nuovo mercato della connettività internet. Ha cosí avuto inizio un uso poco corretto della rete: milioni di adolescenti, ma non solo loro, hanno cominciato a scaricare musica a tutta forza. Complici i fornitori del servizio di connessione che non hanno esitato ad incoraggiare il fenomeno. Complici coloro che hanno deliberatamente equivocato tra risorse “open” e violazione di diritti altrui. D’altro canto non poteva essere la disponibilità della banda larga a trasformare milioni di persone in consumatori e in produttori di contenuti… Apprezzare le potenzialità del mezzo richiede una sensibilità ancora adesso superiore alla media.

E se adesso si comincia a parlare piú seriamente di lotta alla pirateria, probabilmente è anche a causa della quasi saturazione del mercato dell’adsl.

Altro gigantesco cambiamento è stato generato, più recentemente, dalla diffusione di Facebook, verso il quale non nutro alcun sentimento ostile, ma la cui esistenza ha stravolto la composizione dei gruppi di persone con le quali precedentemente mi relazionavo in rete: persone selezionate in base ad interessi ed attività. Adesso mi ritrovo esposto a quella che un tempo era la “passeggiata per il paese”: ci si incontra un pó tutti, amici e parenti (suocere comprese 😉 ) e si vengono a sapere cose che non ci interessano, non ci riguardano, che non vorremmo proprio conoscere.
Vado rapidamente alla conclusione: è certamente un fatto positivo che la rete sia a disposizione di tutti. È altrettanto certo che non si deve trasformare la rete in un gigantesco calderone governato dalle stesse dinamiche di massa dalle quali la rete stessa ci consente di fuggire: la scaletta dei telegiornali, i “grandi fratelli”, le mode stupide e totalizzanti. Sarebbe davvero una grande stupidità, grande come quella che sta affligendo Caterina…

Con un piede impigliato nella storia

Avevo ascoltato una intervista con l’autrice su Radio Tre, in primavera, ed ero rimasto molto favorevolmente impressionato: il tono della voce, il tema genitori-figli, ma questa volta intersecato con la Storia, per di piú una storia ancora eccessivamente condizionata dal giornalismo. Ho quindi cercato il libro, meravigliandomi della difficoltà nel reperirlo; forse ingenuamente ritenevo dovesse essere un best-seller. Invece ho dovuto ordinarlo.
Ne è valsa la pena, il libro certamente fa riflettere, ma allo stesso tempo è intimo, Anna Negri si rivela, e nel farlo ci trasporta in una dimensione interiore e insieme politica, culturale e, perchè no, antropologica. Siamo tutti uomini e donne diversi da quelli di quei tempi, quelli che eravamo nati e quelli nati piú recentemente. Per l’autrice un percorso di liberazione, per me (per noi) una lezione.