Su Affari e Finanza di oggi leggo l’ articolo di Giuseppe Turani: “I padroni di Internet, democrazia incompiuta”. Non mi è piaciuto, voglio esprimerne i motivi. Già il titolo mi sembra assai poco indicato, Internet non è una forma di governo e quindi l’uso della parola “democrazia” mi sembra quanto mai inappropriato. Vabbè, si dirà , i titoli degli articoli non sono scritti dai giornalisti! Ok, andiamo avanti.
Nel corpo dell’articolo si afferma che Google è diventato il “padrone” della rete! Le argomentazioni a favore di questa tesi sono abbastanza confuse: viene detto infatti che per navigare, ormai (perchè, prima no? ), ci si rivolge ai motori di ricerca e soprattutto a Google che avrebbe la colpa di fare non delle ricerce nella rete, bensì, orrore, negli archivi dove i vari siti sono stati indicizzati. Vi immaginate quanto tempo occorrerebbe per ottenere una risposta se per ogni ricerca bisognasse mandare in giro quello che in gergo tecnico viene chiamato un “bot” per cercare i siti richiesti? Ci vorrebbero giorni! Ecco perchè Google manda continuamente in giro i suoi “bot” per creare un archivio per appunto indicizzato dei vari siti in modo da trovare subito quello che si cerca; lo fanno tutti i motori di ricerca, non solo Google e non potrebbe essere diversamente. Solo che Google lo fa meglio degli altri, molto meglio, tanto da essersi affermato, nonostante una interfaccia scarna e assai poco “lookista“, su motori di ricerca che erano sul mercato già da anni e mostravano un certo numero di lustrini. Turani si lascia condizionare tanto dalla parola indicizzati che si spinge ad una analogia con i libri “messi all’indice” dalla Chiesa (l’articolo non riporta quale chiesa, immagino quella cattolica, nè dice in quale periodo, immagino durante la santa inquisizione . .), confondendo la necessità di dare un ordine alle informazioni in modo da poterle ritrovare quando servono, con una operazione ideologica che consiste nel bandire alcune informazioni dalla libera circolazione e di perseguire chi si rende responsabile di un tale comportamento. Aggiunge poi che si tratta di indici artefatti dalla presenza di inserzioni pubblicitarie; omette però di notare che le inserzioni sono chiaramente indicate in quanto tali.
L’articolo lascia intendere che Google fa gli indici a suo uso e consumo, affermando un’altra non verità . Gli indici di Google sono creati attribuendo un peso alle interazioni degli utenti stessi della rete: se un sito è molto visitato il suo peso cresce; se un sito è molto linkato da altri siti, il suo “ranking è più elevato. I criteri e la tecnologia adoperata sono chiaramente spiegati nel documento Google Technology.
Turani conclude indicando la nascita di una nuova iniziativa che propone i siti in base al gradimento espresso deliberatamente e volontariamente dai visitatori, iniziativa che sta cercando di riportare internet verso la “democrazia integrale” delle origini.
Vado alle conclusioni: Google è stata ed è ancora una grande e gratuita risorsa per tutti gli utenti del web e di internet in generale. Sta diventando sempre più pervasivo, questo è vero, ma sino a questo momento ha costantemente favorito l’utilizzo delle risorse da parte di tutti con operazioni che hanno reso l’utilizzo di internet sempre più facile, allargando quindi la base degli utenti, anzi, dando loro voce attraverso l’offerta di spazi per i blog, per le foto, per i video, di fatto “democratizzando” l’accesso. La cause legali che si sta trovando ad affrontare derivano – tutte – dall’aver consentito la pubblicazione di contenuti, e non nell’averla impedita, nell’aver deciso, “da padrone” chi può pubblicare, che cosa, dove e quando. Questo non è mai avvenuto.
Allora stiamo con gli occhi aperti: ci sono sempre grandi pericoli nelle grandi concentrazioni, ma, per favore, diciamo cose intelligenti!